Angoli

Il giorno prima sei seduto alla scrivania, stremato. Ogni tanto ti fermi, ti alzi, fai qualche giro e noti la muffa su un angolo del soffitto che avresti giurato non ci fosse prima. Eppure gli angoli sono quattro, solo quattro. Scuoti la testa, ti strofini gli occhi, ti ripeti di non mollare parlando ad alta voce. Non l’hai mai fatto e ora ti senti imbarazzato per le pareti che rimbombano il tuo suono, impregnate di umidità e ora anche delle tue parole. Poco male, è una doccia fredda, e ora ti ritrovi ancorato alla sedia, incastrato in qualche posizione strana tra lo schienale e il bordo della scrivania.
Ricominci. Più stanco. Più determinato di prima. Ti fa male la schiena, lo sai che quella posizione non ti si addice. Non ti fermi fin quando non sarai troppo stanco per confondere l’ambizione con il sonno. Non li confondi. La determinazione ti scorre nel corpo e ti riempie come un fiume in piena, la senti pulsare, e ti compiaci ascoltando il suo ritmo deciso.
Il giorno prima sei felice. Sei rassicurato dalla risoluzione con cui riesci a non scoraggiarti.
Il giorno dopo sei seduto alla scrivania, stremato. Ogni tanto ti fermi, ti alzi, fai qualche giro, ma adesso lo sai che gli angoli sono quattro e sai anche che sono ricoperti di muffa. Muovi freneticamente gli occhi, la testa, impercettibili movimenti del collo ti riportano alla realtà e capisci cosa cerchi. Sì, cerchi le distrazioni, cerchi i fori nei muri, le increspature della pittura, le macchie sul tappeto, i graffi sul parquet rovinato. Cerchi la formica che cammina, la briciola degli avanzi, la tazzina sporca che hai lasciato sul comodino, e il comodino leggermente spostato verso destra. Cerchi la muffa negli angoli perché ti piace concentrarti su ciò che è al di fuori di te, ma nessuno ti parla di come fare quando hai già notato tutto. Sei proprio sicuro che gli angoli del soffitto siano quattro, solo quattro? sì, lo sei. E cosa cerchi adesso? non lo sai. Però pensi che siccome non c’è niente più da scrutare così insistentemente, potrai finalmente sederti di nuovo e passare il tempo così: senza far niente.
Sei perspicace, lo sei sempre stato, te lo hanno ripetuto allo sfinimento, eppure ci hai messo tanto a capire che quella era una bugia. Ti si sgretola tra le mani la menzogna del tempo: il tempo perso non esiste. Il niente non esiste. E lo capisci mentre fissi la parete che non stai guardando la parete, ma stai sviscerando i tuoi pensieri.
Scuoti la testa, strofini gli occhi, e liquidi la questione credendo di aver perso più tempo di quanto ti eri concesso. Non ti dispiace. Sei stanco, stremato, inizi a confondere il sonno e l’ambizione.
Cammini veloce su un ponte di legno, schegge dolorose ti trafiggono la pianta del piede, oscilla, sempre di più e ti agiti, sempre di più. Dove cadrai? non lo sai. È il dubbio. Riconosci così la passerella che trema tra errore e verità.
Fissi sempre la parete e pensi al peccato originale. Sei sempre perspicace e aggrottando le sopracciglia ricordi il bambino che eri, intimorito e arrabbiato per quel morso succulento immaginando il rivolo di saliva peccatrice che pendeva da quelle labbra bugiarde. Ora sei cresciuto e sei alla terza tazza di caffè e la combinazione ti suggerisce che il peccato viene prima: mamma e papà hanno peccato dubitando, crucciandosi, e solo infine, decidendo. Adamo ed Eva hanno una sola colpa, quella di averci macchiato del male più grande, della prigione più resistente, del vuoto più nero: il pensiero.
Ti riporta alla realtà un crampo alla gamba che tenevi piegata in una posizione innaturale sulla scrivania. La ritiri di scatto, te la massaggi con delicatezza. La tocchi, la palpi come se la stessi scoprendo in quell’istante. La accarezzi, la stringi, la infastidisci, più la tocchi più ti fa male ma non riesci a smettere. La gamba? no, la mente quando dubiti. Ti dà fastidio, la vorresti strappare, ti deconcentra. La mente? no, la gamba. E ora ti ricomponi sulla sedia in una posizione che sai non durerà a lungo.
Ti fa male la testa e non è la piccola carie che nascondi a tutti né il freddo nauseante che entra dalla finestra. Sono le vertigini, sei di nuovo sul ponte, ti sporgi e tremi all’idea di cadere. Verità o percezione? non lo sai, sudi, le mani ti scivolano e ti accovacci, pulsa il cuore, pulsano le vene, il polpaccio per il crampo e la mente per il pensiero. Hai paura ma non cadi. Sei ancora sul ponte e ti rialzi e sei calmo. Non crolli e non crolla. Il dubbio è più forte di quello che pensi e tu ci corri sopra, ci cammini, ci salti e sei salvo perché impari a dubitare e alla fine della passarella ci sei tu. Ti raggiungi, ti tocchi e sei di nuovo nella tua cameretta a massaggiarti la gamba. Ti guardi intorno e ricordi esattamente com’erano le fessure nei muri, il comodino, la muffa negli angoli e gli angoli che sono quattro, solo quattro. Hai ancora la carie, hai ancora freddo, dubiti ancora e sei ancora tu. Sei stremato, ma adesso non ti fermi, non ti alzi e non fai qualche giro, e lei trova la sua posizione.
La tua schiena sulla sedia? no, la tua mente nel dubbio.