Dal quaderno di Kells

Più di una pagina è andata perduta dal codice di Kells (il celebre evangeliario altomedievale vergato in latino da monaci irlandesi e impreziosito da una miriade di arabeschi, miniature e capilettera ornati), attualmente conservato presso il Trinity College di Dublino. Molti monaci e studiosi sono morti nel frattempo nel tentativo di scioglierne il mistero, ma il mistero delle pagine scomparse non ha trovato soluzione… fino ad oggi. Nessuno poteva immaginare infatti che una tradizione parallela avesse salvato le pergamene smarrite. No, non le originali (quelle sono andate distrutte davvero), ma delle copie: per essere esatti, una copia. Si tratta di un quaderno, il quaderno di Kells. 
Realizzato molti secoli dopo la creazione del manoscritto da cui prende il nome, il quaderno di Kells non è altro che un moderno insieme di fascicoletti in carta spessa cuciti a mano (frutto dell’ingegno di una storica C.E. di Vancouver) con una copertina in cartone rigido recante a pieno campo la riproduzione del monogramma Cristico in greco “XP”, ripresa dal vangelo di Matteo dell’originale.
Finito tra le mie mani per una serie di coincidenze fortunate, il quaderno appare a prima vista un normalissimo taccuino a righe per appunti. Lo si sfoglia e non si nota nulla di strano: bianco, dall’inizio alla fine, anzi giallino. E così, ci si può immaginare, restò per molto tempo nel cassetto della mia scrivania, in attesa di essere utilizzato. Ci volle un po’ prima che mi decidessi a iniziare a registrare qualche pensiero, e passò più di un po’ prima che mi accorgessi, finalmente, della sua stranezza. 
Un bel giorno, ero tutto preso dalla lettura di un profondissimo romanzo del primo Novecento, e mi venne di annotare un’osservazione sul caro quadernetto. Ormai giunto quasi a metà, mi accorsi, nello sfogliare avanti e indietro alcune pagine in controluce, della presenza di lettere non mie… Già! Queste lettere non comparivano sulla pagina, ma dentro, all’interno di ogni foglio centrale, in trasparenza come in filigrana. Quale artificio è mai questo! Non capii subito cosa avessi trovato, anche perché il linguaggio utilizzato mi era ignoto. Tuttavia, non mi scoraggiai e feci delle ricerche. Alla fine, potei chiarire l’enigma solo grazie all’immagine di copertina. Venni così a sapere dell’esistenza del prezioso codice miniato e del gruppo di fogli andati perduti.
Ormai avevo pochi dubbi, quelle lettere dovevano essere in gaelico. Un tratto veloce, quasi frettoloso, come se l’autore (o gli autori) di quelle parole temesse di essere scoperto. Ora non dirò del tempo e della pazienza che mi ci sono voluti, ma dopo sforzi non proprio minimi sono giunto infine a decifrare un primo testo da questo corsivo ectoplasmatico. E il testo* che segue non sembra trovare giustificazione all’interno dell’opera originaria:

Onde, onde leggere che venite e che andate
Non da voi stesse, ma da spirito arcano levate
Che sorpassate e che girate
Nel tempo gli spazi, negli occhi gli uomini
Che coprite e che risvegliate
I sommersi e i salvati, dagli animi le stelle
Che siete e che sentite
Mosse di carezze o masse di infinitezze
Un giorno accoglietemi
Onde, onde dell’ultimo fato
Che amate e amate non altri che voi stesse

*[finito di tradurre il 2/02/2006. La punteggiatura, assente nella versione in gaelico, è stata arrangiata da me per fini meramente pratici. Non escludo, ovviamente, la possibilità di qualche errore di traduzione. In ogni caso, il lavoro continua…]