Prose

Divertere

La diversità è una percezione, il sentimento progressivo di una disfatta. La consapevolezza di essere se stessi non è una dizione intellettuale, una scoperta conoscitiva, una rivendicazione orgogliosa di identità, è una collisione muta col mondo, un esilio non richiesto, una dolente accettazione dello stato delle cose: noi di qua, la realtà degli altri di là. Si avanza nel tempo facendo a pugni con la marginalità, si verifica con ripetitiva costanza la lateralità, si lotta col desiderio inappagato di normalità, con l’esigenza di rassicurante superficialità, con la tensione alla banalità accogliente. Si vorrebbe solo sopravvivere, come tutti. La maggioranza sterminata degli individui si rifugia nelle consuetudini ovine, non le sceglie, le vive senza contraddizioni. La maggioranza minacciosa e stolida impone la liturgia del così è, tritura i dubbi con la protervia ottusa del numero, riduce l’esistenza a ritualità accettate a cui bordi non c’è altro. Il tepore di conformarsi ai desideri di tutti, alle aspettative di tutti, ai deboli dolori di tutti. I conformisti dominano il mondo, ne dettano le leggi e le modalità per abitarlo. Essere uguali libera dal peso di se stessi, semplifica la vita nelle azioni e favorisce una recita macabra. I giovani adorano il conformismo come un idolo pagano, danno tutti i loro beni pur di morire da vivi. Sterilizzare il dolore attraverso la narcosi del qualunquismo: piccoli sogni, piccoli progetti, piccole ambizioni, le cose sostituiscono le persone, cose e persone si identificano, tutto è cosa mentre moriamo storditi. Amori miserabili, finalità ebeti, relazioni effimere, compiti impiegatizi, marce patibolari da soldatini, sentimenti dozzinali, brame industriali, noia estenuata, tutti insieme e uguale per tutti, la massificazione del nulla. Attraversano la gioventù come adulti stanchi, la coazione a ripetere giorni identici e passioni spossate, a ciarlare degli altri, a scrutare dallo spioncino del moralismo le vite altrui, omettendo i demoni privati. Tutti infelici di un’infelicità mediocre, fingendo un dinamismo eccitato, tutti smarriti per lo squallore condiviso del futuro, tutti impantanati nel vuoto dissimulando determinazione. Cadaveri galleggianti verso il fiume torbido dell’età adulta. Insieme, senza stridori, senza cadute abissali, senza disperazione conclamata, senza interrogativi, senza straziante profondità, al riparo nel gruppo senza volti, nella massa indistinta del dio presente, nel recinto melmoso dello status quo. Giovani più cinici dei padri, ectoplasmi della storia senza avvenire, disincantati ragionieri del possesso, vampiri di un tempo inutile, esangui e incattiviti.
L’alterità si annuncia nell’infanzia, senza lucidità e senza clamori. Bambini sonnambuli osservano il mondo come un segreto, non sanno giocare ai giochi comuni, si smarriscono nella fantasia di ciò che non c’è, non sanno graffiare e dare morsi, non sono belluini, non piangono, non chiedono giocattoli, stanno in silenzio a osservare, sono timidi, non sanno rispondere alle domande stupide dei grandi, non sono rapaci con le cose degli altri infanti, si interrogano angosciosamente sulla morte. Se ne stanno in disparte. Non amano essere al centro delle attenzioni. Al compleanno vorrebbero fuggire. Hanno la malinconia negli occhi e non sanno perché.
La diversità è un sentimento di colpa. Percepiamo che siamo noi l’errore. Se tutti abitano con convinzione la propria vita, se tutti hanno persone con cui condividere affanni minimi e gioie qualsiasi, se tutti sono integrati nel tritacarne della società dei consumi, se tutti desiderano le stesse cose e spartiscono le stesse aspettative, se nessuno si frantuma sulle domande, se a nessuno manca tutto, se nessuno si sente dimenticato nel mondo come su un pianeta alieno, se tutti sanno ottusamente cosa fare, allora la malattia siamo noi, è in noi, esseri difettosi e melanconici, guasti nelle fondamenta, inetti alla realtà come si manifesta, sociopatici per tare del carattere, solitari per destino, anomalie della umana natura consorziata, scarti da abbandonare per la sanità idiota della specie.

Tratto da “Bozze per uno pseudo romanzo”