Editoriale #1
Un lugubre vento di ponente spira sulla Storia. Le forze naturali stavolta sono innocenti, aliene da ogni bradisismo dell’orrore. È l’Illuminismo che si accartoccia, la ratio viene travolta, l’idea stessa di humanitas si sgretola. Le esili e faticose barriere innalzate a protezione dalla barbarie cadono. Le lancette del divenire sembrano incepparsi e angosciosamente tornare indietro. Ciò che credevamo solido, almeno alle latitudini occidentali, frana; quello che consideravamo acquisito evapora.
Le democrazie dell’Ovest del mondo sono scosse da sussulti laceranti, appaiono decadenti e moribonde nei loro presupposti politici ed etici, i diritti e le istituzioni internazionali non sono più riconosciuti, gli ideali di giustizia e di libertà che apparivano acquisiti sono sotto assedio, agonizzanti. Forse la cupa crisi politica e sociale che minaccia il presente era già nei presupposti del parlamentarismo borghese che, per costituzione, rappresenta gli interessi delle élites dominanti; la guerra stessa, che allunga la sua ombra letale, è un’estensione dell’economia capitalistica. Le vacillanti economie occidentali vedono nella guerra un corroborante, una possibilità, un affare. Economia come guerra, guerra come economia è un antico assioma che alla bisogna il capitalismo ha sempre rispolverato. Tuttavia vi sono segnali ulteriormente inquietanti: il nuovo imperatore americano avanza protervo in azioni e affermazioni deliranti – tra cui la proposta di costruire un resort a Gaza e gli ordini di espulsione coatta dei migranti –, accompagnato da uno schizofrenico miliardario che finanzia i nazisti d’Europa e sembra uscito da un fumetto della Marvel; l’Unione Europea lancia un piano di riarmo da 800 miliardi; il governo sionista di Israele massacra inumano migliaia di innocenti palestinesi in barba ad ogni diritto internazionale e, semplicemente, alla pietà umana. Sembra di essere tornati agli anni ‘30 del secolo scorso, quando una montante e ferina onda nera travolse progressivamente i principi basilari del vivere comune; si assiste a una agghiacciante ciclicità vichiana.
Sembra di trovarsi in una rivisitazione di Cecità di Saramago, in cui i ciechi sono gli elettori delle destre xenofobe e naziste d’Occidente, sono i soldati israeliani che scannano bambini, sono gli ipnotizzati qualunquisti e indifferenti da tastiera, gli invasati protagonisti e spettatori di TikTok, gli intellettuali imbolsiti e servi dei salotti televisivi e delle piazze guerrafondaie. I vedenti, che ci sono, che urlano, che scuotono e riempiono le strade, affogano nell’indifferenza della maggioranza orba. Le élites hanno gettato la maschera, rappresentano solo se stesse, un esiguo manipolo di dominatori economici che ritiene la democrazia un intralcio e le masse popolari un fastidio.
Sentiamo la fatuità e la responsabilità di scrivere, sentiamo il morso dell’impotenza e il dovere della testimonianza. Non vogliamo arrenderci a braccia abbassate, inermi. La rivista e la scrittura sono per noi un atto di resistenza, che ci aiuta anche a sopportare il privilegio di trovarci nella parte ancora fortunata del mondo, a tollerare il disperato sentimento dell’inettitudine. È il nostro modo – insufficiente, minimo – di immaginare un’alternativa di mondo, di non cedere, di fare la nostra parte.
Grazie a coloro che in questo numero hanno scelto di farlo insieme a noi, donandoci le loro parole.