I Simpson fra alétheia e solitudine
«Guagliu’, muovetevi che devo tornare a casa a vedere I Simpson», diceva un professore universitario nei ricordi di un mio caro insegnante. E quanto aveva ragione. I Simpson sono un eterno carnevale: il grottesco che si prende la sua rivincita sul sublime, facendo a pezzi tutto e tutti. Non c’è ipocrisia che resista alle risposte argute degli abitanti di Springfield. Come descrivere meglio il filantropo Elon Musk se non attraverso l’immagine del suo atterraggio nel giardino dei Simpson, mentre incenerisce il falco che la famiglia aveva amorevolmente curato? Come rappresentare i dolori della piccola e intelligentissima Lisa, se non con la lettera struggente di Homer che decide di scegliere la via del codardo e tornare stupido, incapace di sopportare il peso dell’intelligenza e il tormento che questa comporta? Una ferita nel cuore che, in un episodio, solo gli antidepressivi riescono a curare, trasformando i fumi tossici e i volti tristi del barbone e del cane in emoticon sorridenti (anche se il cartello Please help resta lì, a svelarci l’inganno). Come dimenticare la sequenza geniale che dimostra la pericolosità di Darwin? Marge, semplice casalinga, per aiutare la figlia contro il creazionismo imposto, legge L’origine della specie e lo capisce! O la magnifica satira di Homer che, lamentandosi della semplicità con cui le ragazzine possono trovare sigarette, estrae una pistola e spara al pacchetto? La satira de I Simpson compie un’azione di verità nel senso greco di alétheia, ovvero di disvelamento. Episodio dopo episodio, I Simpson continuano a strappare i veli delle convenzioni sociali e delle credenze comuni, senza offrirci una verità unica, ma piuttosto un modo critico di affrontare la vita. L’ironia dei Simpson compie una costante azione di negazione rispetto ad una verità imposta, portandoci a compiere il primo passo ineludibile della scoperta del vero: l’eliminazione dell’opaco, dell’oscuro. Ci insegnano il diritto alla dissacrazione e il potere che essa detiene, riportando in auge il senso più autentico del carnevale: lo scemo che si innalza a re, il re che diventa lo scemo (non è forse questa la definizione della scena in cui Homer si impossessa della centrale e defenestra Burns?). I Simpson sono una scuola socratica del pensiero.
Ma il mondo dei Simpson non è solo dannatamente satirico. È anche una serie in cui i personaggi, così allegri e divertenti, vivono in realtà in un universo doloroso fatto di perdite, percezioni acute e profonda solitudine. Ogni abitante della cittadina sembra lottare strenuamente contro la propria reclusione, contro quell’ombra opaca che appare, a uno sguardo più attento, indissociabile dal giallo dei simpatici abitanti di Springfield. Il bar di Boe è un luogo triste, frequentato da persone sole; la scuola, una lotta per la popolarità; la casa, un labirinto di stanze chiuse, dove ogni personaggio vive il proprio dramma nell’indifferenza o nella sordità degli altri. Eppure, tra tanta indifferenza, ci sono episodi in cui i personaggi riescono a toccarsi, comprendersi e affrontare insieme il proprio dolore.
Sono puntate struggenti, fatte di momenti fugaci, eppure colme di umanità. Homer che porta a letto la piccola Maggie, per la quale sopporta il suo orrendo lavoro; che conforta Lisa per la perdita del maestro amato; Lisa che suona con Gengive Sanguinanti, esorcizzando il dolore attraverso il blues; Bart e Lisa che suggeriscono al padre morente le parole giuste per consolarli. Questi momenti durano lo spazio di un episodio e si dissolvono nell’eterna sospensione temporale di Springfield, vera maledizione della cittadina, che costringe i personaggi a uno stato di perenne amnesia, impedendo loro di progredire o trarre insegnamento dalle esperienze.
Si ritorna a essere soli, sopra un cofano, con il dolore acuto di una madre scomparsa. Ma niente paura: nonostante le differenze, le distanze irriducibili e le lancinanti solitudini, questi episodi dimostrano che, dietro quei testoni gialli, si nascondono anime umane, pronte a tendere la mano per accompagnarci lungo il cammino.
Il senso critico e la compassione: sono queste le cose di cui abbiamo un tremendo bisogno. Come concludere, allora, se non invitando ciascuno di noi a fare come i Simpson insegnano – guardare il mondo con ironia, smascherare le ipocrisie e, nonostante tutto, trovare la forza di raggiungere l’altro? E se tutto questo non basta, ricordiamoci che c’è sempre un episodio pronto a ricordarci che il pensiero critico e un pizzico di follia possono rendere la vita un po’ più sopportabile.
Guagliu’, muovetevi a finire questo articolo, dobbiamo tornare a casa a vederci I Simpson.