Il mio panteismo

Chino il capo, distolgo gli occhi, lascio che una piega della bocca mi incupisca il viso. La mia vergogna ha delle connotazioni fisiche ben riconoscibili. Dopo un po’ tutto torna al suo posto, come un Picasso che si ricompone. Continuo a camminare con il viso sereno e l’interiorità martoriata dalla colpa di essere giovane, istruito, ben nutrito mentre chi incrocio è ridotto a vivere in strada. Fa freddo, mi dico. E mi dico che lo provo anche io ma non è vero. La fortuna ha destinato me e i miei simili a vivere su piani di esistenza diversi. E vorrei essere come San Francesco e strapparmi le vesti, ma non credo in Dio. Non credo in nulla. L’ideologia che millanto si riduce a un’empatia sterile, inoperosa. Al dolore non succede la reazione. Faticosamente porto un macigno che periodicamente mi travolge, in un andirivieni fra pieghe e sorrisi quieti. Volevo essere Hugo e invece sono Sisifo. Navigo su mari meravigliosi di letteratura, ma se la mia stella polare è diventata uno Starlink dov’è finito il senso? I valori che interiorizzo restano sogni di carta, soffocati dalle assurde aspirazioni di potere di uomini ridicoli che uniche si diffondono nella realtà e la plasmano. La mia volontà di cambiare il mondo, così forte nella mia testa, si concretizza nella realtà con quell’unico spicciolo che posso permettermi di dare a uno dei cento essere umani che incontrerò. Risuona sordo come un ciottolo nel mare. Volto l’angolo e la vergogna ritorna, la colpa mi corrode. Vorrei essere Don Chisciotte, Cyrano, Pereira. Ma sono il me stesso solo, che disordinatamente cerca di trovare un filo nella letteratura per ricucire continue emorragie esistenziali. Scusatemi, perdonatemi. Sono nato come un uomo deforme, uno strano fenomeno da baraccone: tutto d’un pezzo e sbrindellato. Le mie lotte sono tutte mentali, come partite di scacchi che si giocano su scacchiere immaginarie. Così distolgo lo sguardo dal barbone affamato, dal genocidio palestinese, dalle follie di Trump, dall’incubo del riarmo e continuo a giocare la mia partita solitaria con il tempo e con la morte. Ed esco sconfitto da tutto e vorrei pregare Dio ma lui resta muto. Come resta muto il mondo intorno a me. Dio è ovunque perché tutto tace. Ecco il mio panteismo.
Domani riprenderò il mio cammino, spingerò ancora questo sasso. Mi immetterò nelle strade di Napoli, camminerò fino alla mia università. Seguirò un corso sui sistemi informatici, mentre tutto intorno a me tace. Prenderò appunti, mentre il mondo va in fumo e la morte mi mangia i piedi.