Il nodo
Nella casa ordinata e silenziosa, Elena cammina piano e si guarda intorno con occhi già di nostalgia. Sa di poter prendere il nodo in qualsiasi momento, afferrarlo col solo pensiero e scioglierlo d’un fiato. Però, camminare per le stanze vuote, coi mobili di sempre che le sfilano davanti e i vasi in fiore a ingentilire lo spazio, le piace.
Ancora no, si dice mentre passeggia di fronte alle grandi finestre piene di luce e sagomate dai castagni del giardino condominiale. Quello spazio è suo da mezzo secolo (e sembra ben più di una vita). La ragazzina entrata lì tanto tempo fa c’è ancora, ma tutt’intorno è cresciuta e invecchiata una donna, e non è successo per caso. Ne ha avuto bisogno per tirar su i figli e mandare avanti la casa, e ancora si ricorda il giorno che si è guardata allo specchio ed è rimasta ipnotizzata da quegli occhi fermi, non più timidi.
Dopo un ultimo sguardo alla cucina, nell’aria ancora il vago odore della cena di ieri e nient’altro, si decide e va in camera da letto.
Appena entra lo trova lì, nudo e supino sulle lenzuola come non lo vedeva da tanti anni. Salvo ha smesso di respirare durante la notte. Lei se n’è accorta la mattina, appena aperti gli occhi nel filo di luce dell’alba: il bozzo immobile e freddo sotto le coperte. L’ha chiamato una volta sola, d’istinto, poi ha pianto a lungo tenendogli la mano tra le lenzuola e intanto pensava al nodo. “Ninni, ninni”, gemeva ogni tanto, ma in quel gemito non c’era nessuna traccia di sorpresa, perché proprio quella notte aveva sognato i due Mario (suo fratello e il fratello di Salvo) che venivano da lei tutti sorridenti e ben vestiti e le chiedevano “Dov’è Ninni, Elena?”. Lei non aveva saputo rispondere, e forse nello stesso frangente lui si stava sollevando per sempre. Mentre piangeva lì sdraiata, le era sembrato di sentirlo parlare. “Io vado. Ti aspetto di là”. Aveva smesso di piangere, asciugata dentro dalla consapevolezza che lui non le avrebbe mai dette, quelle parole. Al massimo a mo’ di scherzo, con il suo fare indistinto fra attenzione amorosa e senso di superiorità che l’aveva fatta innamorare, un giorno d’estate di più di una vita fa, quando erano a prendere ripetizioni di matematica in una Catania deserta e avevano cominciato a guardare l’uno il riflesso dell’altra nel piano di cristallo del tavolo del professore.
Quella mattina, alla fine di tutto (l’intera vita e il pianto), aveva spogliato il corpo pesante di suo marito, gli aveva rasato barba e capelli, l’aveva lavato con un panno, e aveva respinto senza vergogna il desiderio di fare l’amore con lui un’ultima volta.
Ora, nella stanza da letto immersa nel sole del mezzogiorno, Elena si spoglia con attenzione davanti allo specchio. In quegli occhi fermi, appesantiti dagli anni, filtra adesso la gioia opaca per il piccolo egoismo che ha deciso di concedersi.
È tutto in ordine, lì fuori, la casa e le carte e la vita dei figli. Bene così.
Si sdraia di fianco a Salvo, la quotidianità del gesto appena intaccata dall’intento rituale dei movimenti, si sistema comoda e gli stringe la mano riscaldata dal sole. È il momento. A occhi chiusi, cerca dentro di sé il nodo, il piccolo glomere pulsante a cui tutti i vecchi si aggrappano con pazienza, o con paura, o per dovere. L’ha sentito spesso, negli ultimi anni, colta di sorpresa davanti alla TV o durante un cruciverba, e ogni volta non era facile allontanare la curiosità fanciullesca che provava nel sentirlo, il desiderio furbesco di cominciare a giocarci.
Ora lo sente di nuovo, sorride compiaciuta, comincia a scioglierlo e poi…