Il diavolo è in noi o siamo noi: Io e Bafometto di Gregorio H. Meier (Wojtek edizioni)

“In quell’alba profumata d’agosto, nell’arco di soli cinque minuti, il piccoletto aveva conosciuto la realtà del mondo, il senso tragico dell’esistenza: il dover-essere uno degli infiniti punti del grande cerchio della vita, la catena alimentare; l’intima e irrisolvibile contraddizione di scoprirsi a un tempo preda e predatore, carne viva.”

Io e Bafometto, libro d’esordio di Gregorio H. Meier per Wojtek Edizioni, è un prosimetro in cinque atti, cinque narrazioni fantastiche inseguite e accomunate dallo stesso desiderio-tormento di sbrogliare il nodo di domande che i protagonisti, uomini singolari e bizzarri o animali parlanti nei quali potremmo facilmente riconoscerci, pongono a se stessi in un dialogo univoco che procede verso una strada senza sbocco. Le cinque narrazioni sono parti diverse di un corpo unico; i protagonisti, forse un unico personaggio, in costante metamorfosi – da “trentenne scioperato” a topo di campagna a farmacista e così via. Si ricorre alla magia per comprendere la realtà, gli inseguimenti sono al tempo stesso delle fughe, si cerca il senso e la verità nel buio del mistero. Il libro prende il suo titolo dal secondo dei racconti: un trentenne alcolista e istrione, Alichino Testamarcia, smosso da un impulso dato dal ritrovamento di un libro di magia nera scritto dal Dottor Budino Di Riso, che rincontreremo, invoca il diavolo Bafometto, perché Bafometto “sa di più” e saprebbe, quindi, anche togliere i punti interrogativi alle sue domande: “Che ci faccio qua? Perché Questo Tutto e non il nulla? Esiste un senso, un fine – Dio? Ma soprattutto: chi sono io, davvero? Un sapiente? Un pazzo? Un poeta? Qual è la mia faccia?”. Ma la magia resta magia, e come tale svanisce durante un viaggio quasi ariostesco sulla Luna, dove la mappa dell’avventura è uno scontrino fiscale; Bafometto non c’è più e la regina del cielo è una marionetta simile più a una Madonna; dove la scoperta di essere uno e solo sul suolo lunare risveglia il protagonista – ingenuo tanto da pensare di potersi fidare del diavolo. L’autore non ci dà risposte né soluzioni, ci mette di fronte a dei tentativi per svelarci la realtà più cruda di tutte: non esiste una risposta, una soluzione, una Verità. Che il diavolo è in noi o siamo noi, che Bafometto non ha ingannato il protagonista ma quest’ultimo ha ingannato se stesso per sopravvivere. I due ruoli, vittima e carnefice, preda e predatore – come nel racconto di Cupido, in cui il topo corre verso una mora e al tempo stesso scappa da una lepre –, confluiscono e si fondono in un unico enigma, remoto e universale, che si scoglie alla fine del racconto con Bafometto e il protagonista, cioè la medesima persona o diavolo che sia, che ritornano lì dove ritorneremo tutti, all’ignoto, alla naturale conclusione del ciclo, la fine del cerchio della vita, l’essenza disperata del nostro esser capitati nel mondo.
Io e Bafometto è un sogno fatto in dormiveglia: non si è del tutto svegli e vigili e neppure si sta dormendo profondamente; siamo a metà strada tra la realtà tangibile e l’utopia del sogno, tra una vita che rifiutiamo e una che a volte vorremmo. La prosa ci trasporta da un luogo all’altro in atmosfere suggestive, talvolta cupe e inquietanti ma anche fiabesche e fantastiche, e viene delicatamente e dolcemente interrotta da versi, filastrocche che si ripetono e che evocano immagini, suoni, sensazioni e risate.

“…guardatevi
le mani: toccaste mai
l’enigma della vita?”