Jana went to Prague

Jana went to Prague
chiudendo a chiave in un cassetto
tutta la dolcezza dei suoi cristalli di bohèmienne,
si sente in trappola, chiusa fuori da ogni gabbia,
e, rimanendo alla finestra, abbracciata alle sbarre,
osserva incuriosita la confortevolezza della non libertà.

Jana went to Prague
mettendo nella sua borsa tutti i suoi dipinti, le sue idee,
la sua interpretazione triste della ferinità brutale di ogni maschio,
inchiodato sulla carta, condannato, come mero organo,
a suonare nelle chiese durante i funerali,
a trasportare l’inaffidabilità dei propri ormoni
come macigni di Tantalo.

Jana went to Prague
col cuore scoraggiato dalla noia della solitudine,
dimenticando il coraggio di noi free spirits
nel resistere alle svendite o ai saldi di emozione,
moderando i nostri istinti alla soddisfazione,
tiene stretti nelle sue mani d’artigiana,
fredde come sanno essere fredde le mani delle ragazze di Karlovy Vary,
i disegni di un drago, i segni degli incisivi dell’amore di sua figlia
incastonati, come fosse ambra, nella dura plastica di un sex-toy.

Jana went to Prague
con il suo sorriso da diamante smarrito in un giardino
a mettere in discussione il suo indiscutibile valore
davanti a un bicchiere di vino e di imbarazzo,
l’imbarazzo angosciato di noi dirty persons,
quando cerchiamo di rateizzare le nostre schiavitù,
affidandoci alle braccia di chi ci mostra scarso interesse.

Jana è andata a Praga, e non so se tornerà,
inebriandomi ancora col sapore del suo sorriso
con la contagiosità del suo profumo,
con l’entusiasmo della sua pelle,
Jana è andata a Praga, e io sarò lì, con lei.