La luce come risveglio spirituale. La fotografia di Virginia-Elisabetta Oldoïni

In principio fu la Luce! 
La luce è l’essenza della fotografia e del cinema. 
La luce ci permette di vedere gli oggetti, il mondo che ci circonda, le immagini. Platone, due millenni e quattro secoli fa, fu il primo a descrivere – grazie alla luce – l’esperienza di creare immagini: alcuni prigionieri (gli spettatori), incatenati in una caverna, sono costretti a guardare sempre verso una parete (lo schermo) dove, la luce del sole che proviene da fuori, proietta delle ombre, riflesso e immagine del mondo esterno. È il celebre mito della caverna. Bertolucci renderà omaggio a questo passo in una scena del film “Il conformista” (1970).
La luce, quindi, è sempre stata utilizzata da artisti, pittori, registi e fotografi per dare vita alle loro visioni e immagini. 
L’uso della luce nelle fotografie di Virginia-Elisabetta Oldoïni – anche se per certi versi deriva e si ispira alla tradizione “pittorica” di autori come Ingmar Bergman (soprattutto per il bianco e nero) e Andrej Tarkovskij (per il colore) – è un un utilizzo intuitivo e, allo stesso tempo, un uso ontologico calcolato
La luce – e le sue ombre – pulsano nelle opere di Virginia-Elisabetta Oldoïni. Le sue fotografie danno l’impressione di prendere vita e di avvicinarsi, grazie a questa illuminazione dinamica, all’immagine cinematografica. 
Osservando queste fotografie si ha l’impressione che non sia la luce che illumina i modelli ma, al contrario, è la luce che emana, che emerge dai modelli ritratti. Un’inversione metafisica delle leggi della luce. Sono i soggetti ritratti da Virginia-Elisabetta Oldoïni che emettono la stessa luce con cui sono illuminati. Tutto questo è particolarmente evidente nella recente e meravigliosa serie di fotografie “Mostly White” dove, infatti, una luce bianca accecante e uniforme si irradia dai modelli ritratti e va a bagnare e inondare l’intero fotogramma, creando una magia unica. È un effetto artistico che si avvicina al concetto di sublime. Sublime – dal latino sublimis che potrebbe essere tradotto come “chi va elevandosi” o “chi sta nell’aria” – è un concetto estetico che designa una qualità di estrema ampiezza o forza, che trascende il bello. Un sublime non più esclusivamente romantico e tragico ma, al contrario, quasi mistico. Un sublime, quindi, che ha un approccio quasi religioso alla “rappresentazione” e, per questo, avvolto nel mistero. 
Magia, mistero, intuizione si mescolano quindi in un tutt’uno. L’insieme indissolubile che, come la sfera parmenidea, non conosce né inizio né fine ma un essere eterno. Essere e luce, nell’arte di Virginia-Elisabetta Oldoïni, sono la stessa entità. E questa entità si nutre e usa la luce come una rivolta mistica. 
La fotografia come preghiera e la luce come risveglio spirituale. Spiritualità, purezza e profondità. Arte come contemplazione del reale. Una contemplazione che, parafrasando il titolo di un documentario su Tarkovskij, diventa preghiera. 
Attraverso questa luce mistica la sua ricerca passa dal bianco e nero – e dalle sue ombre – al colore. Il colore, nelle sue fotografie più recenti, è utilizzato in modo metafisico. Virginia-Elisabetta Oldoïni, attraverso i colori, mette in luce le qualità e le caratteristiche ontologiche dei modelli che ritrae o anche dei paesaggi in cui sono ritratti i suoi modelli. Attraverso la gradazione dei colori, insieme alla composizione dell’inquadratura e alla messa in scena della persona fotografata, cattura l’essenza unica del soggetto fotografato. Non è quindi un uso esclusivamente realistico del colore, ma piuttosto un atteggiamento espressionista. 
Le varie espressioni artistiche si fondono nell’ispirazione della sua arte. Cinema, teatro, pittura e musica. Lavora ascoltando, ad esempio, la canzone di Hank Williams “I saw the Light”, una canzone che sottolinea ancora una volta la sua tendenza spirituale. Una tendenza che si manifesta e che emerge dalle sue fotografie. Un canto spirituale composto da luci, forme e colori che ci regala la complessità della realtà. L’arte di Virginia-Elisabetta Oldoïni sprofonda nella realtà e raggiunge le profondità più oscure del reale e del possibile perché, come scrive Charles Dickens in David Copperfield, “Quando bisogna fare un tuffo nell’acqua, è inutile rimanere a contemplarla dalla sponda”.