La noncuranza degli ultimi attimi
Irriconoscibile in modo straziante la fine.
Quel giorno mangiasti un biscotto,
quell’altro sono andata al parco.
Il 28 dicembre ti ho abbracciato.
Il 4 novembre sono nata.
Il 29 ottobre sono solitamente felice.
Il 21 gennaio ho fatto un regalo speciale.
Il 2 maggio e il 5 settembre
li festeggiamo da sempre.
Il 31 ottobre è un giorno particolare.
Il 3 gennaio mangiamo una sfogliatella.
Il 25 dicembre piango.
È struggente la bellezza degli inizi.
Devastante come si possa scandire
il preciso principio del passato.
Il 28 dicembre potrei morire.
Il 4 novembre anche, potrei morire.
È così il 29 o il 31 ottobre, il 21 gennaio,
il 2 maggio, il 5 settembre.
Eppure li festeggiamo da sempre.
Qual è stata l’ultima cosa che ti ho detto?
Probabilmente che domani ci sarà il sole,
ma non so se lo ricorderai.
L’ultima volta che abbiamo giocato a scacchi?
Io non me lo ricordo.
L’ultima volta che vi ho detto «Vi voglio bene»?
È devastante, eh!?
La noncuranza degli ultimi attimi.
È così inconsapevole e innocente
l’ultima volta.
E ora mi chiedo quante ultime volte
sto vivendo.
Quali ultime volte ho vissuto.
Quale sarà il mio giorno senza rimedio.
Nascere per non vedersi morire è un regalo?
Non lo so.
Ma come tutto il resto,
quando diremo
«ciao»
per l’ultima volta,
per noi sarà solo una delle tante.
È uno strazio, eh!?
Non riuscire a vedere la
fine.