La voce

Ero con Giacomo tra le rovine di Pompei, alle pendici dello sterminatore, di fronte alla Natura in Asia, a farsi spezzare il cuore da Fanny; ero con Fëdor davanti al plotone d’esecuzione, ad attendere la morte cogli occhi bendati, accanto a Fëdor epilettico, con Raskolnikov a massacrare vecchie usuraie e a bruciare di febbre per il delitto; con Dino, a piedi nudi sull’Appennino, per non consumare le uniche scarpe, per consegnare il manoscritto su carte unte d’osteria all’infame Papini, a riscrivere a memoria i Canti che il poetastro protervo aveva perduto, avrei dovuto ucciderlo, insieme a Dino, prima del manicomio fatale. Ero con Friedrich e settanta chili di libri, sul piroscafo deserto verso Messina, dopo che Lou aveva rifiutato un amore orfano, “da quale stella siamo caduti per incontrarci qui?”, ero a 6000 piedi con Friedrich Wilhelm ad accogliere nella voce di Zarathustra tutto il dolore sterminato del mondo; con Giordano a bruciare vivo per volontà di Santa Romana Chiesa, a imparare la Cabala, la mnemotecnica e l’infinità del Tutto, de l’infinito, universo e mondi,  a patire gli eroici furori di chi sa e soccombe ai meschini delatori mocenighi, è sempre sola l’anima cercatrice, marchiata dal sigillus sigillorum della domanda; ero con Charles a sciogliere hashish nel caffè prima che il cervello scoppiasse,  a desiderare di andarcene Laggiù, “laggiù, dove tutto è ordine, bellezza e voluttà”; ero in una fosse comune col corpo sconsacrato di Gauguin, che aveva trovato la purezza primitiva e marciva dimenticato per l’ottusità blasfema di un prete tahitiano. Ero la testa mozzata di Michelangelo Merisi e le vene tagliate e ricucite di Petronio Arbitro, che intonava versi erotici mentre la vita fuggiva via nel latte d’asina; ero accanto a Orazio Flacco ad allontanare gli amici premurosi poiché la strenua inertia aveva vinto e al nulla non si può opporre nulla; ero con Agostino a sentire esterrefatto il richiamo della voce fanciulla di Dio, tolle lege, tolle lege.
Ero con Arthur quando gli hanno amputato la gamba e con Vincent quando si è mozzato l’orecchio, con Albert nello schianto dell’auto coi freni manomessi e con Torquato nelle prigioni di Sant’Anna.
Mio padre mi ha portato a vedere il ghiaccio, mi sono catapultato contro i mulini e ho riconquistato l’elmo di Mambrino, sono impazzito per i cuori incisi negli alberi da Angelica. Ho visto gli Inferi si, tre volte ho cercato di abbracciare l’ombra di mio padre stringendo solo me stesso. Sono tornato a riprendermi Euridice dal buio senza tempo, e ho cantato a Persefone, l’ho vista evaporare dalla mia mano perché l’ombra perpetua non perdona. Ho guardato Amore dormire e ho pagato amara la curiosità, era bellissimo con ali gigantesche e valeva la pena dannarsi per contemplare la bellezza fugace. Sono risceso all’Inferno e ho pianto per Francesca, infine ho visto la luce indicibile de lo gran mare de l’essere.
Ho peregrinato nelle ere, ho patito la condizione umana, ho sussurrato il messaggio, protetto la flebile fiaccola, ho custodito la memoria, ho tramandato la testimonianza, ho cercato iniziati e anime perdute, ho pianto e maledetto la morte, ho interrogato il segreto, sono stato esiliato, ripudiato, oltraggiato, ho intonato il canto nella notte. Sono tutte le voci della ferita.