La zanzara (Un amore)
Quieto e pigro, il collo sprofondato nell’avvolgente camicia di flanella, l’uomo percepiva gli occhiali scivolargli verso il precipizio, oltre la punta del naso. La prima asola della maglia, orfana del bottone in madreperla che la madre aveva cucito e ricucito negli anni, lasciava scoperta la sua pelle floscia, addormentata nelle sue stesse pieghe. Oltre la finestra socchiusa il ciliegio centenario spingeva l’ultimo rossore dei frutti ai margini frastagliati della canopia, promemoria per un’altra estate. L’oggetto-uomo, polverosa propaggine della casa, leggeva un libro qualunque, a favore di vento. Non un sussulto, non un dubbio, in bilico perfetto tra l’oggi e l’ieri, intendendo il domani come perdita della speranza. Un solo capello ritto abitava la sua testa calva, inquilino solitario di una piazza vuota, inabile anche alla caduta. Giaceva abbandonato, senza rancore, senza desideri: una pura trascurabile dimenticanza. Luca (non il suo vero nome, ma nessuno lo chiamava) procedeva parallelo alla sua stessa vita: un tronco cavo dalla volontà fiacca e dal riluttante pessimismo. Inabile alla caccia, alla raccolta, persino al pensiero, a tratti interrogava l’autore, per costruire ricordi su suggerimento delle vite di altri e attraverso di loro costruire noiosamente sé stesso.
La fantasia iniziava sempre così: appoggiava l’indice della mano destra alle labbra. Chiunque lo conoscesse avrebbe notato quel gesto, così insolito rispetto alle sue quotidiane abitudini.
Ma nessuno lo conosceva.
Quel pomeriggio, per tutto il resto identico agli altri pomeriggi, era dimenticabile. Come al solito, il vento cercò di sfrondare il ciliegio, il ciliegio resistette all’assalto e l’oggetto-uomo alzò lo sguardo; poi, tolse gli occhiali. Privo di memoria, Luca era in grado di ripetere gli stessi gesti all’infinito, senza annoiarsi mai, senza pretendere alcun cambiamento.
Ma il pomeriggio in questione potrebbe essere un altro e Luca, supponiamo, potresti essere tu.
Sotto il ciliegio sfrondato dall’affronto del vento, conscio del fastidio arrecato a quel lungo piacere organizzato intorno al libro, educato a una rigida saporita immobilità che sospende la parola morte, tu potresti tutt’a un tratto pretendere dall’autore l’intero braccio, che uscendo tridimensionale dalla pagina ti tiri a forza verso di lui per portarti via; non importa dove, purché tu non abbia la possibilità di rifiutare. Posato il tuo indice destro sulle labbra, stai notando la presenza di un grumo, un punto nero, colpevole della possibile costruzione di un futuro ricordo o, peggio, di un esecrabile rimpianto.
Ora, cosa faresti? Cederesti alla costruzione di un desiderio? Andresti a farti un giro per non pensarci? Comporresti un numero a caso sulla tastiera del telefono per distrarti dal guaio imminente? Decideresti di salvarti, o no? E, cosa significa salvarsi?
La verità è che tu non lo sai.
Quindi, senza alcun rimpianto, torniamo a Luca, più semplice da osservare e da giudicare. Torniamo a Luca o, meglio, alla zanzara che andò a sbattere contro la sua non-persona.
Perché è così che andò. L’inquadratura si sposta. Una zanzara agonizzante, ultimo avanzo di una stirpe estiva, posa le zampette tremanti sul suo braccio sinistro, quasi glabro. Le sue propaggini aguzze, eppure innocue, muovono i fili sottili della scarsa peluria dell’uomo, appena risorta dal peso del maglioncino, tutta spettinata. La bestiola sale verso il gomito disteso: due passettini malfermi, incerti lungo la linea curva del polso. La mano destra di Luca si solleva automaticamente: atavico istinto di caccia che lui non si conosceva. Sta per colpire l’indesiderata con un secco s’ciac. Ma essa non dispiega le ali. Ormai intorpidita dal primo freddo, che la stagione si è trascinato appresso senza volere, arranca disperata, quasi morente, avida di un’ultima goccia di vita. Luca ferma la mano, la mano di Luca si ferma, e rimane appesa all’aria, arresa, spogliata dalla precedente minaccia. L’uomo guarda l’intrusa brancolare, cagna avida smagrita fino all’osso, da rendere il torace trasparente, vivo solo agli occhi di lui. E lì, l’oggetto-uomo compie un primo e fatale gesto: il gesto di posare quella mano così sanguigna, la sua, fattasi concava per la pietà, intorno al corpicino di lei, disgraziata bestiola, unica al mondo ormai che lo cerchi davvero. Il calore di Luca si sprigiona generoso dal palmo, e lui rimane lì, immobile, come fosse ancora di fronte al libro, respirando piano per non destarla. E mentre lei se ne ciba per non morire, suggendo goccia a goccia la vita che ancora scorre nel corpo dell’uomo, Luca chiude gli occhi stanchi e si lascia bere, la sua carne una cosa sola con il becco della sconosciuta amante.
Ora che conosci la storia, la misera storia di Luca e della sua bestiola, credi veramente di sapere quale saresti dei due e cosa faresti al loro posto?