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Lettera aperta alla Presidente del Consiglio

Cara presidente del consiglio Meloni,
ho cominciato molto presto, forse troppo, a chiedermi cosa sia il merito e cosa sia la colpa.
Forse ho cominciato in un centro di riabilitazione, a sei anni, dove di tutti i bambini ero la più “sana”. Mi chiedevo perché io potessi parlare e loro no. Perché potessi correre, rotolarmi e giocare e loro no. Forse ho imparato lì l’insoddisfazione. Sicuramente lì ho imparato l’ingiustizia. Essere sana non mi soddisfaceva se c’erano così tanti bambini incastrati in mille ausili. Forse ho imparato lì a voltarmi verso chi resta indietro. A chinarmi, e provare ad accompagnarli più avanti.
Superato il centro, pian piano ho cominciato a non avere amici. E ho ricominciato a chiedermi perché non ne meritavo. Ci perdevo sonno ed energie. Eppure risposte alle mie domande non ce n’erano.
Poi ho perso mia nonna, una delle persone più importanti della mia vita, con un cancro.
Dov’è la colpa nell’avere un cancro? E il merito?
Subito dopo, forse per indigestione, ho cominciato ad avere problemi di salute.
Cercavo risposte in un corpo sordo, che continuava a dolermi, eppure non mostrava crepe. In nessun esame, in nessuna visita, in nessun intervento.
Durante questi anni ho visto tante persone, tanti pazienti abbandonati negli ospedali, forse perché i medici non avevano percepito denaro in intramoenia da loro, o forse perché gli stessi medici sono stritolati da un sistema senza pietà.
Continuavo a chiedermi cosa fosse il merito.
Anche quando studiavo nel letto, dolorante, decifrando cose reali in mezzo alle figure astratte che i miei occhi quotidianamente mi propinano.
Anche quando qualche prof scrupoloso avrebbe voluto chiamare l’ambulanza durante un esame.
Continuo a chiedermelo ancora oggi, cosa sia il merito, mentre tutti coloro che hanno cominciato l’università con me sfrecciano veloci come treni e io arranco per alzarmi dal letto.
Cos’è il merito cara Meloni? Me lo dice lei?
Ieri sono andata a comprare il pane. C’era il mio amico clochard. Aveva fame, non aveva cibo. Se fosse lei al posto del mio amico? Ci crederebbe al merito?
Sono giorni che leggo di uomini, donne e bambini prigionieri del mare, il loro strumento di libertà. Ci penso e sento freddo. E più mi copro e meno mi scaldo.
Perché devo avere un letto e loro nemmeno una terra pronta ad accoglierli?
Qual è la loro colpa? E il loro merito? Se fosse suo figlio bloccato in mare? Chi ha reso la terra proprietà privata?
Una ragazza è stata violentata, è rimasta incinta e vorrebbe abortire. Saprebbe individuare merito e colpa anche qui?
Me lo faccia sapere, perché io dopo venticinque anni continuo a non capire cosa sia il merito, e soprattutto se esista davvero.
Svuotiamola questa parola, svisceriamola.
È solo una parola bastarda e insidiosa.
Come bastardo e insidioso sa essere il male senza soluzioni.
E io di male senza soluzioni ne vedo tanto, troppo.
Non ha a che fare con il merito, ma con la vita.
De André ha detto: “Vedo ben poco merito nella virtù e ben poca colpa nell’errore. Non ho ancora capito cosa sia il merito e cosa sia la virtù.”
So che lo ascolta poco, anzi forse non lo conosce.
Ma mi spieghi perché il mondo deve essere di chi può pagare. Senza tener conto che c’è chi paga già con la propria vita tutti i giorni il conto più salato.
E soprattutto mi spieghi perché una parola vergognosa come “merito” debba essere gridata e parole come “fame” e “invisibilità” debbano essere taciute.
Me lo spieghi, io intanto continuerò a vedere sempre gli invisibili e ad ascoltare i senza voce. A chinarmi e inginocchiarmi, per ascoltare meglio le loro parole mute.
Lei però, intanto mi spieghi.
Se non posso accettare le sue risposte, voglio almeno conoscerle.
Vorrei poterla salutare con cordialità, ma, mentre ancora una volta mi chiedo cosa sia il merito,
preferirei di no.