Liberté, Égalité, Fraternité
Non ci riesco, non posso. Mamma non riesco a reggere questo gioco. Non posso accettare le vaghe verità di entità astratte che ci insegnano che se una persona crepa a terra è colpa sua. La vorrei divorare questa pillola, quest’ostia ipocrita che toglie i peccati del mondo. Vorrei credere fermamente che chi muore al freddo è pigro, e chi è pigro è feccia, e chi è feccia pianga se stesso. Vorrei credere agli aiuti statali, ai sussidi, alla benevolenza dei volti sorridenti. Dovrei farlo, ma non ci riesco. Non posso, non qui. Non in questa città di merda che è stata il mio sogno, non in questa Parigi creata dai miei simili. Ogni cazzo di strada è invasa da uomini che muoiono come cani e da cani che muoiono come uomini. Muoiono al freddo, mamma. Muoiono al freddo in una città piena di teatri.
Non riesco a subirlo, ad accettarla come normalità. Soffoco un grido che mi soffoca, e sto zitto tra la folla muta. Mi comporto come loro, per impotenza, per conformismo. Non sono come loro e ad ogni angolo soffoco un grido che mi soffoca.
Non è colpa tua se soffro, non è colpa tua se non sono adatto alla vita. Vorrei andare in chiesa come te per riuscire a distinguere una speranza nei crocifissi. Vorrei che il tetto si squarciasse e piano entrasse una luce, una colomba. Accoglierei anche uno spiffero di vento, ma tutto resta sempre muto. Nel silenzio sento solo la mia litania che nulla lenisce. Non posso credere in Dio mamma. Forse lui esiste nelle tue parole, nei tuoi atti gentili. Ma dove esiste il gelo, Dio non c’è. Davanti Notre Dame ieri c’era un barbone con un cagnolino. Non mi sentivo le dita, e lui stava sul suo cartone con gli occhi spenti. Non alzava nemmeno più la testa, non cercava nemmeno più cibo. Era rassegnato al mondo degli uomini che non capisce. Davanti Notre Dame, a Parigi, un uomo ed un cane muoiono. La necrosi prende lentamente possesso dei corpi, ne divora i colori. La città luccica mentre le sue ombre si spengono. L’ipotermia si contende le prede con l’inedia, e forse uno morirà in un modo ed il secondo in un altro per rispettare l’unica fottuta égalité che esiste a Parigi. E mi strapperei la pelle perché coglione in quella parola ci avevo creduto. Avevo creduto alla rivoluzione, ai miserabili, alla cultura, alle statue di Hugo sparse nella città che puzzano della putrefazione di chi ci crepa sotto. Avevo creduto nella possibilità delle parole. Ma le parole non hanno possibilità mamma, e non ce l’hanno né i miei sogni, né le mie speranze. Avevo pianto per Notre Dame in fiamme, ora piango perché non l’ho bruciata io.
Andrò via da questa città splendente e putrescente mamma, andrò lontano da tutti i posti che mi condannano all’indifferenza, perché le grida che devo uccidere finiranno per uccidermi.
Non c’è nulla a Parigi per me, se non il fondo della Senna.
Mamma, non voglio che queste siano le mie parole conclusive. Anelo ancora ad aggiungere un frammento di dolcezza, a far sì che la mia esistenza non sia solo disperazione e sconfitta. Lo vorrei per te e per me. Le mie pulsioni di morte sono un feroce richiamo della vita negata. È qui, sopita dentro di me, la possibilità d’amare. Forse un giorno ti scriverò finalmente una lettera gioiosa, la meriteresti. Non hai cresciuto un uomo felice, hai cresciuto un uomo giusto. Sappi che non ti odio per questo.