L’unica gioia al mondo

ma non farti fuorviare dai dettagli semplicemente perché li vivi.
AUDRE LORDE

Alcune colazioni sono più uguali di altre. Lo sai bene.
Sul fuoco il pentolino scalda per qualche minuto il latte d’avena – dev’essere tiepido, non caldo – mentre la padella abbrustolisce due fette di pane di segale e tu apri con misurata energia il barattolo di marmellata di arancia. La tavola è apparecchiata in azzurro e del resto non potrebbe essere altrimenti: da quando hai manifestato la preferenza per questo colore durante l’infanzia, tutti i doni da parte di famiglia parenti amiche sono stati di colore azzurro. Tu hai sempre assecondato volentieri questa tendenza. Dopo un iniziale disorientamento dei tuoi per il tuo rifiuto del colore rosa in tenerissima età, con strilli e capricci, quando il rosa era ancora necessario per dire al mondo che eri la loro bambina, riempirti la stanza di ogni sfumatura di azzurro possibile fu il loro modo di normalizzare questa tua stranezza.
È da quasi dieci anni che fai colazione alle sette e mezza del mattino con il latte d’avena tiepido, il pane tostato e la marmellata di arancia. È un rito. È il tuo modo di iniziare. Ti piacerebbe raccontare di quella volta in cui hai tardato di qualche minuto, o di quell’altra in cui mancava il pane di segale al panificio, o di quell’altra ancora in cui hai cambiato tipo di marmellata – ma semplicemente non è mai successo. È da questi dieci anni che fai colazione alle sette e mezza del mattino con il latte d’avena tiepido, il pane tostato e la marmellata di arancia, su tavola azzurra, ecco tutto. 
Le persone che non fanno colazione – o peggio, quelle che la fanno qualche volta sì e qualche volta no – sfuggono alla tua comprensione. Che cosa nascondono? Come cominciano?
È domenica, ma nulla cambia in termini di orari, non per te.
La domenica è il giorno del Signore – lo diceva sempre una tua coinquilina ai tempi dell’università – e va rispettato andando più lentamente, facendo le cose con calma. Eri solita risponderle con una frase letta in un libro: «con tutto il rispetto per il Cielo, a me piace quaggiù». E alle sette e mezza il tuo pentolino scaldava il latte d’avena, la tua padella abbrustoliva il pane di segale e tu aprivi con misurata energia il barattolo di marmellata di arancia. Lei entrava in cucina soltanto per dirti che l’avevi svegliata e ti chiedeva se potevi farle la cortesia di alzarti più tardi la domenica, se non per te, almeno per lei. Ai tempi ne eri innamorata alla follia, ma «no, vedi, semplicemente non posso», le dicevi, abbassando lo sguardo su pane e marmellata. Ti rispondeva con il silenzio.
Qualcuno ha detto una volta che l’unica gioia al mondo è cominciare.
Se ciò si perde, per motivi vari, come l’abitudine, viene voglia di morire. Ma fare colazione non è un’abitudine, sebbene la si faccia ogni giorno e sebbene la si faccia alla stessa ora e allo stesso modo, come nel tuo caso. Di questo sei convinta. Fare colazione non è un’abitudine. Ti è stato detto molte volte che sei un’abitudinaria, ma chiaramente si sbagliano tutti e non sanno. Non sanno che scopri ogni mattina qual è il sapore del latte d’avena – hai un giorno intero per dimenticarlo – né sanno che nessuna fetta di pane è identica all’altra e la luce che illumina le posate azzurre sulla tavola non è mai la stessa. Abiti in un paesino in cui nevica spesso: tu sai che il cielo di neve non è mai carico allo stesso modo. La fetta di pane non tiene sempre la stessa quantità di marmellata. Insomma, non sei un’abitudinaria, no.
Oggi però sono le sette e mezza e non stai facendo colazione. Non puoi fare colazione. Non sai fare colazione. Non riesci e non sai perché. Non sei bloccata a letto, non hai sonno, non hai la nausea, non sei malata, non sei sazia, non c’è motivo per cui non dovresti fare colazione eppure non la fai. Non puoi. Non riesci. Una forza invisibile ti ferma.
Sul fuoco il pentolino non scalda per qualche minuto il latte d’avena, la padella non abbrustolisce due fette di pane di segale e tu non apri con misurata energia il barattolo di marmellata di arancia. Non sai perché, ma non succede. No, non oggi. È l’inizio di qualcosa di nuovo o la fine di tutto quanto? È una rinascita, una morte, una rinascita che sa di morte, una morte che sa di rinascita o altro ancora? O è soltanto che oggi non riesci a fare colazione? Non riesci. Non puoi. Una forza invisibile ti ferma.
Sono le sette e quarantacinque e dopo quasi dieci anni, no, non hai fatto colazione. Ti stendi sul tappeto azzurro, vicino al camino spento, e guardi il soffitto bianco. Da ragazzina sui soffitti ti piaceva disegnare futuri di improbabile realizzazione e ti sentivi stretta tutta nella cassa toracica. Ora ti senti un fiore, stessa dose di profonda responsabilità nei confronti del mondo. Ma non un’ape che ti sfiori, nessun passante che ti accarezzi con lo sguardo e ti faccia sentire che è bello stare sulla Terra perché ci sei anche tu.
Il punto è che sono le otto e la colazione non ti manca, e questo è quanto di più straordinario e impensabile potesse accaderti. Non ti manca il latte d’avena tiepido, né il pane tostato con la marmellata di arancia sopra. Non ti manca guardare come la luce si posa su ciascuna di queste cose poggiate sulla tavola azzurra. Quasi dieci anni, ogni mattina, e non ti manca. La colazione non ti manca.
Che cosa nascondi? Come cominci?