Malessere
Mi sono innamorato di una pugilessa.
Avery Pongracz. 21 anni. Australiana. Altezza: 1.83 cm. 3 vittorie, 0 sconfitte.
Ad oggi imbattuta nella divisione irlandese di pugilato femminile. L’algoritmo di TikTok me l’ha fatta scoprire.
L’algoritmo dice: «Sai che c’è? Hai visto troppi video di salumieri che preparano merende enormi e quindi pum, beccati questa pugilessa goth».
Tralasciando il suo aspetto giunonico – difficile –, è pazzesco come Avery riesca a combattere con tutto il trucco dark che ha in faccia.
Prima di allora non avevo mai seguito assiduamente il pugilato. Sono più tipo da MMA. Mi piace che i lottatori si scannino con tutte le parti del corpo. Con quegli sguardi serrati nel pre-match a far intendere all’avversario:
«T’ammazzo di botte».
«La tua vita finisce sul ring».
E ci danno dentro sul serio. Veri incontri sanguinolenti. Lacerazioni. Fratture. Edemi. Senza censure.
Comunque, che si tratti di boxe o arti marziali miste, ogni lottatore prende una pausa di un paio di mesi tra un incontro e l’altro per recuperare fisicamente, allenarsi, migliorare la tecnica, studiare il prossimo avversario.
Quando Avery non combatte, pubblica aggiornamenti sui suoi canali social. Si tratta perlopiù di video in cui sfoggia abiti goth nuovi danzando e cantando in playback su pezzi in trend. Ogni tanto pubblica anche contenuti sul workout del pugile.
Li ho salvati tutti. Tra i likes ho un mini archivio sul come allenarsi secondo Avery. Spalle. Gambe. Bicipiti e tricipiti. Tutto.
Contenuti che ti invogliano a fare attività fisica. Anche se il mio discorso è molto di parte. Intendiamoci, se Avery dicesse che è salutare darsi schiaffi in faccia, probabilmente avrei le guance viola.
Sono in una fase di adorazione totale del tipo “Se non posso stare con lei, non voglio stare con nessuna”. E la seguo come se un giorno potessi incrociarla per strada.
Impossibile. Certo, impossibile. Ma mettiamo che disputi un incontro in Italia. Ad esempio nell’arena romana di Pro Fighting. Non posso farmi trovare impreparato. E non voglio incrociarla per una usuale foto coi fan. Devo fare colpo.
Quindi mi son detto: «Che tipo può piacere ad Avery?». Della sua vita privata non si sa molto. La cosa più semplice da cui iniziare è la cura del corpo. Probabilmente le piacciono le persone come lei. Atletiche.
Prendo la macchina, direzione Decathlon.
Un commesso nel reparto bodybuilding mi suggerisce di prendere una panca con bilanciere regolabile in promo. A casa non ho tutto questo spazio. Pago 50€ per un kit di manubri componibili. Si possono fare tanti esercizi coi manubri da casa. YouTube è pieno di tutorial.
Sull’esecuzione di molti esercizi vado a memoria. Ho fatto palestra anni fa e non mi va di ricominciarla perché c’è troppa gente. E troppe persone su un attrezzo non vanno bene. Ad alternarsi, si dilatano i tempi di recupero tra le serie di ripetizioni.
Mi alleno quattro volte a settimana in salotto. Guardo se Avery ha pubblicato qualche altro video sui workout. Vado avanti così per mesi e poi faccio il test della polo. Consiste nell’indossare una polo che mi va larga da sempre.
Sento che mi sta più stretta al petto. I bicipiti stritolati dai bordini delle maniche. Mai successo prima.
È un buon segno. Ma non basta. Ci vuole quel qualcosa in più che ti dà una disciplina sportiva. E mi son detto: «Perché non provare proprio col pugilato?».
La palestra più vicina si trova nel rione Traiano. Pugilistica De Novellis. De Novellis è stato un famoso pugile italiano. All’ingresso mi accoglie il figlio Carlo, campione italiano dei pesi medi.
«Qui per una prova?» dice.
«Indovinato» rispondo stringendogli la mano.
Coi miei pantaloncini da tennis, le scarpette da jogging e una canotta dei Miami Heat. Non c’è nessuno più in prova di me.
«Ora facciamo cardio. Poi tecnica. E infine un po’ di sacco».
Gli altri pugili mi osservano incuriositi. Qualcuno bisbiglia che sono troppo magro. E un altro del gruppo gli risponde che nel pugilato non si sottovaluta mai nessuno, ha lottato contro pugili grissino che picchiavano forte.
Si inizia con una corsetta nel pistino, circa 20 minuti. Poi a terra disposti in cerchio e so fare solo la metà degli esercizi che fanno gli altri. Il coach dice che non fa nulla, per il momento. Quindi ci vado pesante di piegamenti e crunch.
A riscaldamento concluso, arriva la tecnica e ci schieriamo di fronte al muro specchiato.
«Concentratevi sul movimento delle gambe e dei piedi quando sferrate il pugno».
Dice il coach: «La potenza parte da terra».
Mi muove le braccia come un manichino, dirige il mio colpo al ralenti.
«Più siete disciplinati con le gambe, più forte colpirete».
Andiamo avanti così per un tempo indefinito.
Io e gli altri pugili sembriamo il riflesso di una massa ipnotica mentre colpiamo il vuoto.
La ricompensa è un po’ di sacco, 5 minuti.
Mi posiziono come il coach e poi jab, jab e altro jab. Per un attimo provo a visualizzare il mio peggior nemico sul sacco. «Prendi questo, pum pam», altro jab. Nessun volto da associare ai colpi sul sacco. Di nemici non ne ho, almeno credo.
Mi viene da pensare solo ad Avery. Ed ecco Avery-sacco che incassa i miei pugni. Jab, jab, ancora jab e sale l’euforia.
«T’ammazzo di botte». Dico ad Avery-sacco.
Di colpo mi fermo, pensando ad Avery. «Scusami, scusami oddio» penso. Mi vergogno di me stesso per aver immaginato anche solo un istante di aver colpito la pugilessa che amo.
«Ok bello» dice il coach, «per oggi è abbastanza». Affanno persino ad annuire. «Se vuoi salire sul ring, devi allenarti duro eh».
«Per essere tesserato con noi, ho bisogno di un ECG sotto sforzo».
Qualche giorno dopo sono dal doc. Con gli elettrodi attaccati al petto. Mi fa saltare sulla cassa di legno per la prova.
«Un… due… Più veloce per piacere. Un… due…»
Salgo e scendo dalla cassa mentre il cardiologo consulta gli schermi collegati alla macchina e poi manda tutto in stampa.
Parla di cose tecniche incomprensibili sul tracciato ECG. L’unico aspetto che capisco è che il mio cuore è anormale. Ho una lieve imperfezione valvolare.
Mentre nella testa mi si plasma una nuova fobia sulla morte improvvisa nel sonno.
Chiedo al doc: «Posso proseguire con gli allenamenti di boxe?»
E lui esordisce con la classica espressione del paraculo professionista affermato: «Dipende».
«Dipende dal tipo di sforzo a cui sei sottoposto durante l’allenamento. La boxe è molto intensa. L’ho praticata da giovane. Ti consiglierei dell’attività fisica di lieve-moderata intensità».
Così dicendo, il doc mi continua a parlare di rischi fino all’eventualità della morte. Fa il gesto delle corna con entrambe le mani.
«Facendo tutti gli scongiuri…» dice.
Con le carte segnate da un paio di scarabocchi del cardiologo, me ne torno a casa.
Sulla strada ho decifrato un paio di parole: «Controllo – Holter dinamico – Annuale».
È probabile che il doc mi abbia detto queste cose nel suo studio ma pensavo ad altro.
Pensavo al mio allontanamento dal mondo di Avery.
Inaccettabile per me. E stento a credere di poter incorrere in problemi di salute con la boxe. Faccio attività fisica da quando ero piccolo. I miei mi hanno fatto fare di tutto, dal nuoto all’atletica leggera. Mai un problema.
Il giorno dopo sono di nuovo nella palestra del rione. Il coach è felice di rivedermi. Gli dico un paio di cazzate riguardo i risultati dei test, promettendogli di avere tutti i certificati entro la settimana successiva.
Quindi altro allenamento tra i pugili come me. Già percepisco lievi miglioramenti nell’esecuzione di esercizi a terra e al sacco. Concludiamo con quest’ultimo. Jab, jab e ancora jab.
Questa volta so cosa visualizzare sul sacco, la faccia del cardiologo. Continuo a colpire forte immaginando uno scenario in cui l’ammazzo di botte per quel che mi ha detto.
Nessuno mi allontanerà dal sogno di uscire con Avery.
Ad allenamento concluso si rientra negli spogliatoi e aspetto il mio turno per andare sotto la doccia. Siamo tredici pugili nel corso, le docce solo cinque. Mentre inizio a svestirmi, sfilo il cellulare dal borsone.
È quando poso gli occhi sul telefono per controllare aggiornamenti su Avery che realizzo di avere un disturbo visivo. Uno sfarfallio accompagnato poco dopo da un senso di malessere generale. L’ansia che ne scaturisce mi fa aumentare i battiti. E in un attimo ricollego il tutto ai miei problemi di cuore. Passano parole e azioni come saette nella testa. E il discorso del doc appare così reale che ho paura di morirci, negli spogliatoi.
Mi stendo per terra chiedendo aiuto con un filo di voce. Poi il buio.
È sera quando inciampo tra i manubri lasciati sul parquet. Uno dei pugili è stato tanto gentile da riaccompagnarmi a casa. Dice che il mio mancamento è durato qualche minuto. «Bro, sono cose che capitano. Sciocchezze» aggiunge. Sciocchezze un paio di palle. Se solo sapesse.
Lo saluto alla porta e m’abbandono sul letto a scrollare notizie. I post di Avery mi fanno quasi venire la nausea pensando a quel che ho passato. Scorro giù. Seguono altri post gastronomici. Ancora Avery in allenamento. Gente che si fa male.
E poi lei.
Luna. Professione streamer/gamer girl. Campionessa italiana di COD.
Ha un sorriso perfetto e degli occhi che emanano gioia. Sembra il tipo di ragazza con cui puoi fare grandi chiacchierate. Già sto fantasticando sulla nostra vita di coppia. Gli interessi in comune.
Del resto, i videogiochi piacciono anche a me.