Prose

Merlucci

17 maggio

Domani sarà un giorno speciale perché incontrerò il mio scrittore preferito: Merlucci. La biblioteca comunale lo ha invitato a presentare il suo nuovo capolavoro, Il mare mosso dei ricordi. Farà sicuramente degli autografi e spero di poterlo incontrare anche in privato, dopo l’evento, per fargli leggere i miei racconti. In paese c’è un solo albergo e il receptionist è mio amico, quindi se glielo chiedo chiuderà volentieri un occhio sui suoi obblighi in termini di riservatezza per rivelarmi il numero della stanza dove alloggia il grande Merlucci. Busserò alla sua porta e gli dirò qualcosa come: “Buongiorno – perché ci andrò di mattina, quando la mente degli scrittori è più fresca, più pronta a riconoscere un eventuale talento emergente – professor Merlucci. Perdoni la mia insolenza e mi scusi se turbo il suo soggiorno. Mi chiamo Giuseppe Pescassi, ho 15 anni e sono un suo ammiratore. Nella mia cartellina qui ho dei racconti, e ci terrei molto ad avere la sua personale e onesta opinione di scrittore professionista sui miei componimenti in prosa.” E a quel punto lui dirà qualcosa come: “Certo, signor Pescassi, certo! Si accomodi pure nella mia stanza d’albergo, magari in quella avvolgente bergère crema che vede nell’angolo!” Allora io entrerò, mi accomoderò e mi guarderò intorno, la cartellina sulle gambe, mentre Merlucci si aggira per la stanza cercando i suoi occhiali da vista, che rinviene sul comodino, inforca e aggiusta con ambo le mani, per poi sedersi di fronte a me su un lato del letto e dirmi: “Mi passi pure la cartella.”. A quel punto io gli porgerò la cartella e guarderò il suo volto mentre, da chiuso e accigliato si apre e si dilata e si appiana mentre viene assalito dolcemente dalla potenza espressiva delle parole che ho messo insieme, e si meraviglierà della qualità di ciò che scrivo, perché diciamoci la verità: per essere uno della mia età sono abbastanza bravo o comunque più bravo della media. E allora si profonderà in complimenti e magari inizieremo a parlare di letteratura e di libri, mi racconterà della sua scalata al successo e si offrirà di mettermi sotto la sua ala protettrice e di presentarmi ai suoi illustri colleghi scrittori e chissà, forse fonderemo una rivista o qualcosa del genere; oppure si renderà conto che sono già un astro nascente e che per dare il meglio di me stesso devo brillare in solitario.
Ora mi metto a letto, devo cercare di dormire il più possibile per arrivare fresco e riposato alla presentazione di Merlucci, anche se sarà difficile perché sono molto emozionato.

18 maggio

Stamattina sono stato alla presentazione del nuovo romanzo di Merlucci, Il mare mosso dei ricordi. Mi aspettavo che sarebbe stato necessario sgomitare per avere il posto in prima fila o solo per entrare nella biblioteca, invece eravamo in cinque, compresi Merlucci e il direttore di biblioteca. Oltre a me c’erano una signora anziana, che alla fine mi ha strattonato per un braccio e mi ha chiesto “Giovanotto, ma qui le visite mediche non le fanno più?”, perché aveva confuso la biblioteca con l’ambulatorio, che era l’edificio di fianco; poi c’era Alfonso, il matto del paese, entrato a cavallo di un rastrello e rimasto in piedi in un angolo, in silenzio. Merlucci ha parlato poco, eclissato dall’inutile e invadente prolissità del direttore della biblioteca. Alla fine non è stato possibile fare domande, forse perché sarebbe stato imbarazzante, visto che a quanto pare ero l’unico che si era recato alla presentazione consapevolmente.
Ad ogni modo, alla fine della presentazione mi sono avvicinato a Merlucci e mi sono fatto autografare le mie copie dei suoi libri: Il mare mosso dei ricordi, Una luce nel cosmo e Amori piezoelettrici e ho trovato il coraggio di chiedergli se avesse avuto un po’ di tempo per scambiare due parole con me più tardi. Con mia enorme sorpresa, mi ha risposto di andare in albergo nel pomeriggio, non prima delle cinque; lo avrei trovato nella stanza numero 8.
Ho atteso l’ora fatidica con trepidazione e poco prima delle cinque, cartellina e libri alla mano, mi sono fiondato fuori di casa verso l’albergo. In reception non c’era nessuno, così sono salito al primo piano, dove si trovano le stanze. Mi sono avvicinato alla camera di Merlucci; appeso alla maniglia, c’era uno di quei cartellini che si mettono quando non si vuole essere disturbati, ma non era uno fornito dall’albergo, di quelli che si trovano in tutti gli alberghi degni del nome che portano, bensì uno che probabilmente si era fatto fare lui o che gli era stato dato dal suo agente, ho pensato. Sopra c’era scritto: Si prega di non interrompere il riposo dello scrittore. Merlucci basa molto del suo lavoro sulla dimensione onirica. Se smette di dormire, smette di sognare, e potrebbe non riuscire a scrivere mai più. Così ho atteso qualche minuto, camminando nervosamente per il corridoio, ma dopo dieci minuti non ne potevo più e così ho bussato delicatamente alla porta. Merlucci ha aperto e mi ha guardato, mi ha salutato e ha guardato il cartellino. Poi mi ha guardato di nuovo.
“Sei qui da molto?”, mi ha chiesto.
“No, una decina di minuti al massimo, professore.”
“Che professore e professore, non sono professore di niente. Chiamami Merlucci. Avrei dovuto toglierlo il cartellino. È un regalo un po’ stupido di mia moglie. Lo fece stampare quando uscì il mio primo libro. Lo tengo sempre in valigia, e ogni volta che capito in qualche albergo lo appendo fuori dalla porta. Entra, siediti se vuoi, vicino al tavolo c’è una sedia.”
Così entrai, presi la sedia e mi accomodai, con la cartellina sulle gambe. Merlucci chiuse la porta e si sedette su una specie di sgabello che recuperò da un angolo della stanza.
“Allora, dimmi, hai qualcosa da chiedermi in particolare?”
“Ecco, sono abbastanza emozionato, non saprei da dove cominciare, ecco… Per esempio, ho una domanda su Amori piezoelettrici: quando il protagonista si lega ad un contatore della luce con un guinzaglio e inizia ad abbaiare sguaiatamente, ecco… è forse una metafora per indicare una specie di… dimensione animalesca nei rapporti sentimentali tra le persone? Il contatore sta ad indicare una certa logica di calcolo freddo, che in queste faccende fa da contrappeso alla dimensione più istintiva e cruda delle pulsioni umane?”
Merlucci mi fissò per un attimo con un’espressione che feci fatica a decifrare. Aveva gli occhi socchiusi, come se fosse infastidito da una forte luce. Non sbaglierei se lo definissi uno sguardo a metà strada tra l’accigliato e il riflessivo; immaginai che il suo cervello stesse macinando intensamente per elaborare una risposta soddisfacente. Dopo alcuni secondi che mi parvero inverosimilmente dilatati, disse: “Ragazzo, ma ci stai sveglio la notte a pensare cose del genere?”
“No, ogni tanto semplicemente ci penso, ecco… Mi piace interrogarmi sulle cose che leggo, e pensavo che…”
“Ma no, no, niente di tutto questo. Se non ricordo male quel capitolo era vergognosamente corto, ma corto veramente da fare schifo, così dovevo allungare un po’ il brodo e mi sono inventato questa cosa del contatore e del guinzaglio. Non c’è nessun significato nascosto, niente di niente, né calcoli e né pulsioni, è solo un imbecille che abbaia mentre è attaccato a un contatore e che mi ha fatto guadagnare un paio di cartelle, tutto lì.”
“Ah… capisco. Bene, ehm… grazie per il chiarimento. Un’altra cosa che volevo chiederle, riguardo a Una luce nel cosmo: è il suo tentativo di entrare nel mondo della letteratura ergodica? La lettura è stata semplicemente folgorante, tra cambi di prospettiva, testi da ricostruire e salti di pagina che portano il lettore ad interrogarsi su cosa sia successo nei vari salti. Come ha deciso di strutturare il testo? Sembra un lavoro incredibilmente complesso.”
“Non ho capito.”
“Ho la copia qui con me. Ecco, per esempio, qui a pagina 8: il testo è tutto sbiadito, praticamente impossibile da leggere. È un chiaro accenno a un documento perso, corrotto, come l’anima di Xavier il ferroviere, giusto? Oppure qui: la pagina che viene dopo pagina 32 è pagina 58, quindi c’è un salto di… 26 pagine, e quindi il lettore si interroga su cosa sarà mai successo in queste 26 pagine estromesse dal testo, ed è chiamato a ricostruire la storia, con uno sforzo non banale, tra l’altro… Cosa può dirmi a proposito di questo?”
“Che hai beccato una copia fallata. Le pagine che mancano non dovrebbero mancare, e il testo sbiadito non dovrebbe essere sbiadito.” “Quindi non è una chiara scelta narrativa per spiazzare il lettore e costringerlo a impegnarsi per… come dire… decodificare i meccanismi del testo trascendendo il medium romanzesco?”
“No, Gesù mio, no, ti hanno solo rifilato un libro stampato male.” “Ah, chiaro… se passo in libreria vedo di prenderne un’altra copia… Volevo farle un’altra domanda, più personale però: come ha gestito la fama che le hanno dato i suoi libri?”
A quel punto Merlucci mi guardò con tenerezza, come si guarderebbe un bambino alle prese con un manuale di scacchi. “Giovanotto… stai scherzando, vero? Non hai visto che alla presentazione di oggi eravate in tre? E non credere che altrove ci sia più gente ad aspettarmi. La casa editrice che pubblica i miei libri, ne hai mai sentito parlare? No? È ovvio, chi vuoi che la conosca? È di mio cognato. Ascolta, giovanotto: io apprezzo la tua stima, te lo dico sinceramente, ma credo che ti sia fatto troppe fantasie. Non sono famoso, non sono un grande scrittore, non sono nessuno. Scrivo perché mi piace e perché la casa editrice di mio cugino deve pubblicare almeno un libro all’anno per avere i sussidi regionali. Io di lavoro faccio l’idraulico, è così che campo.”
A quel punto il mio istinto mi suggerì che mostrargli i miei racconti sarebbe stato inutile, così salutai, lo ringraziai per il suo tempo e lasciai l’albergo.

19 maggio

Dedicherò la giornata a un’attenta e ponderata meditazione sull’incontro con Merlucci.

20 maggio

Confesso di essere abbastanza deluso dall’incontro con Merlucci.