Napoli Ferrovia: progetto per un film

Nel 2010 lo scrittore e filosofo Enzo Rega e il regista Franco Jannuzzi decidono di scrivere e girare un film tratto dal romanzo Napoli Ferrovia (2007) di Ermanno Rea. I due espongono il progetto allo scrittore napoletano, che si mostra favorevole e coinvolto, scambiano con lui missive (pubblicate anche da questa rivista), lo incontrano nella sua casa romana, nei pressi di San Pietro. Segue una febbrile attività di scrittura e di sopralluoghi fin quando Rega e Jannuzzi sono costretti a rinunciare alla realizzazione per le difficoltà economiche insormontabili legate alla realizzazione del film.
Di seguito pubblichiamo il soggetto, il trattamento e la sceneggiatura che Rega e Jannuzzi avevo messo a punto, anticipate da una premessa di Enzo Rega che inquadra la vicenda.
Il materiale ha un doppio valore: documentale da un lato, riguardante tre personalità artistiche italiane, simbolico dall’altro, mostrando la genesi e l’evolversi di una idea nel suo farsi. Questi scritti difatti rappresentano ciò che poteva essere e non è stato ma anche ciò che resta. La realtà creativa come potenzialità incompiuta ma allo stesso tempo come traccia indelebile anche al di là del suo compiersi definitivo.

Kairos, agosto 2024


Credo che il primo libro di Ermanno Rea che ho avuto per le mani e sotto gli occhi sia stato Mistero napoletano del 1995. Da lì in poi ho letto e recensito tutti i suoi libri successivi: La dismissione (2002); Napoli ferrovia (2007); Rosso Napoli. Trilogia dei ritorni e degli addii (2009) che raccoglie i tre romanzi menzionati; La fabbrica dell’obbedienza. Il lato oscuro e complice degli italiani (2011) che è un saggio; La comunista. Due storie napoletane (2012), nel quale si riprende il personaggio, realmente esistito, di Francesca Spada, protagonista del Mistero: con il suo misterioso suicidio Rea continua a “fare i conti”; Il caso Piegari (2014); Nostalgia (2016), dal quale Mario Martone ha tratto un film nel 2022; il postumo La parola del padre (2017), giocato sulle figure di Caravaggio e Giordano Bruno. Una “lunga fedeltà”, dunque. Un percorso all’interno del quale si inserisce il tentativo di trarre un film da Napoli ferrovia, insieme all’amico regista Franco Jannuzzi, da molti anni direttore dell’Horcynus Festival a Messina, e più ferrato nella scrittura specificamente filmica: già nel 2010, molto prima dell’uscita nel 2024 di Caracas di Marco D’Amore. Alla mia frequentazione epistolare e telefonica con Rea, proprio in occasione del progetto cinematografico, si aggiunse l’incontro di persona. Con Franco gli facemmo visita nella sua casa di Roma, alle spalle di San Pietro. Rea accolse cordialmente noi e di buon grado l’idea di fare un film dal suo libro. Ma s’informò anche dell’effettiva possibilità di realizzazione dal punto di vista produttivo. In realtà, spinti dall’entusiasmo, io e Franco in quella fase ci preoccupavamo soprattutto di lavorare al soggetto e alla sceneggiatura. E di fare sopralluoghi. Andavamo, nella città di Napoli, alla ricerca delle location del romanzo. Tra questi giri napoletani, in cui Franco, che è messinese, scopriva la città (io la andavo riscoprendo sui passi di Rea), ricordo il passaggio in piazza Mercato, per “contemplare” l’orribile Palazzo Ottieri, quello che, come scrive anche Rea, chiude l’affaccio della città sul mare, lo sguardo naturale della piazza del mercato sulla via marina dei traffici commerciali. E ricordo l’immersione nella confusione multietnica del mercato della Duchesca, alle spalle di piazza Garibaldi, con la preoccupazione di come muovere una macchina da presa in quella bolgia. Io e Franco lavoravamo a distanza, lui a Messina, io nella provincia napoletana (ma con vista sul Vesuvio). Ci mandavamo via mail il materiale man mano prodotto per incontrarci spesso di persona: una volta, ricordo, nel mio appartamento in quel momento in ristrutturazione, e forse anche nella casa di Ortigia, a Siracusa, dove allora viveva mia moglie cefaludese. A Rea mandavamo volta per volta quello che scrivevamo, accogliendo i suoi suggerimenti, come testimoniano alcune lettere salvate del nostro breve carteggio. Non ricordo se lo scrittore visionò tutti i materiali. Comunque sono qui, recuperati dalla nostra memoria e da quella del computer. Più difficile recuperare nel ricordo le intenzioni di allora, in minima parte consegnati allo scambio epistolare con Rea e per il resto alle lunghe conversazioni tra me e Franco.

Enzo Rega


NAPOLI FERROVIA
Soggetto per un film in riferimento al libro omonimo di Ermanno Rea, Rizzoli 2007

Nelle nostre strade ci imbattiamo sempre più in volti e abiti che rivelano la provenienza da altre terre. È un flusso incessante e inarrestabile che qualcuno invece vorrebbe arginare se non bloccare, mettendo avanti motivazioni diverse, dalla difesa dell’identità o della sicurezza o del posto di lavoro per gli italiani. Ma “loro” sono sempre più tra noi.
E c’è una città in Italia, che è anche in qualche modo nel cuore del Mediterraneo, cioè Napoli, dove questa “invasione” dà la sensazione straniante d’essere davvero in un nuovo mondo, soprattutto se ci aggiriamo tra la Stazione centrale, il mercato della Duchesca e altre strade e vicoli, il poligono più disperato della città partenopea. Senza contare che il suo porto è diventato il principale scalo europeo per merci provenienti fra l’altro dall’Estremo Oriente, Cina in testa. Basta aggirarsi lungo i moli per vedere cataste di container Cosco (ovvero cinesi) in attesa di rovesciare il loro contenuto o ripartire per la madre patria.
Mentre in grandi città capitali di imperi coloniali, come Londra, gli immigrati ormai sono parte della metropoli in cui vivono, a Napoli è invece ferita evidente, non suturata, l’incontro-scontro fra le due realtà. Con una peculiarità, anch’essa straniante. Gli immigrati stanno prendendo il posto della vecchia “plebe” napoletana e la loro miseria ancora senza nobiltà diventa il nuovo volto di parti della città.
Nel film seguiremo Caracas, un due volte “migrante” (nato in Venezuela da italiani, e venuto quindi a Napoli), che da novello Virgilio conduce un vecchio napoletano, Ernesto, nei gironi infernali e notturni della nuova Napoli: Ernesto, un vecchio comunista costretto a imbattersi nella nuova miseria d’importazione.
Questa dissolvenza incrociata fra vecchia e nuova miseria sarà evidente anche nella sovrapposizione che Ernesto farà fra Caracas, che prende a cuore le sorti dei nuovi poveri “napoletani”, e l’amico scrittore morto suicida che invece, decenni prima, si dedicava ai derelitti “indigeni” d’un tempo.
Ma per Ernesto, che ormai vive lontano da Napoli, sarà anche l’occasione per fare i conti con il proprio passato e con la città che ha lasciato, che ritrova così stravolta, e con la propria identità di comunista ormai fuori corso. Il paradosso è che l’iniziazione a questa nuova Napoli avviene per mano di un ex-naziskin, che dovrebbe essere ideologicamente agli antipodi.
Allora ecco le interminabili discussioni, fra passeggiate notturne e soste in locali gestiti dagli immigrati, un mondo che è ormai quello di Caracas, neofita islamico, che si difende da possibili conversioni al comunismo. In questi incontri verranno fuori squarci di vita e disperazione nei racconti di Caracas e ricordi della Napoli dal dopoguerra in poi di Ernesto, ancora divorato da una passione politica che si scontra con le delusioni imposte dalla realtà. Lo spettatore si muoverà così fra luoghi e tempi evocati durante i lunghi vagabondaggi nel ventre di Napoli.
Fino a che l’attrito nel forte rapporto di odio-amore fra i due personaggi e i mondi che incarnano e rappresentano porterà al misterioso allontanamento e alla misteriosa sparizione di Caracas.

Franco Jannuzzi, Enzo Rega
25 luglio 2009