Pasolini “profeta” di Mike Bongiorno

Oggi si rischia di fare dell’“intellettuale contro” Pasolini una sorta di santino buono per tutti, ora che tutti – verificatesi le sue profezie – possono rendersi conto di come egli abbia avuto ragione, anche quando aveva torto. Franco Fortini esemplificava il suo rapporto con Pasolini affermando: “Aveva torto e non avevo ragione”. Giorgio Patrizi più recentemente aveva invece avuto modo di osservare: “Dovremmo rovesciare la formulazione e dire che lui, Pasolini, ‘non aveva torto’, e noi che lo leggevamo, ascoltavamo, discutevamo, negli anni Sessanta-Settanta, ‘avevamo ragione’”.
Pasolini aveva ragione anche quando aveva torto, per la sua illuminante radicalità. E, come scriveva Arbasino con il suo caustico spirito ‘borghese’, bisogna continuare a parlarne, e a riflettere sulle sue parole, anche ora che le commemorazioni pasoliniane per alcuni diventano un business. Contro la santificazione di molti e l’affarismo di taluni, queste manifestazioni vanno fatte, ricordando l’uomo anche con le sue contraddizioni umane, troppo umane, perché, nella santificazione, non si perda il carattere dirompente della sua scomoda intelligenza.
A questo si accompagna anche la “lagnosa lamentazione”, come diceva Piergiorgio Bellocchio, per l’assenza, oggi, di Pasolini a dire no – ancora – contro ciò che non va, ciò che è andato proprio nella direzione da lui prevista. Ma forse – come pure qualcuno ha detto – non è necessario neanche che Pasolini ci sia, hic e nunc, in persona, a dire i suoi “no”, perché ha già detto tutto. Basta solo andare a leggerlo, a rileggerlo. E a vedere, a rivedere, i suoi film. Si lamenta la mancanza di una personalità come la sua, almeno un succedaneo, pur in “formato” minore. Al di là di una questione di statura intellettuale e culturale (e morale), è anche una questione di tempi. Hölderlin si chiedeva prima, e poi Heidegger dopo: “Come i poeti nel tempo della miseria?”. Già ormai anni fa, il poeta e scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger, che ha contribuito alla diffusione di Pasolini in Germania pur non condividendone tutti gli aspetti, sosteneva che un poeta come Pasolini non sarebbe più possibile. Oggi ai poeti – e agli intellettuali – non si chiede più nulla, se non dare lustro esteriore e superficiale ai salotti mediatici. Pasolini credeva, come i poeti romantici, come Hölderlin, appunto, che la poesia fosse il luogo della verità.
L’accentuazione dell’aspetto romantico dell’opera di Pasolini fatta da Enzensberger, se da un lato può essere suggestiva, dall’altro mette in ombra la lucidità delle sue analisi, il loro rigore, cose che, accanto anche all’intuizione poetica, hanno permesso a Pasolini di anticipare, a partire solo da cenni prodromici, lo sviluppo di certi fenomeni allora solo in nuce o appena in fieri. Sentimento e ragione, passione e ideologia. Quella passione che fa del suo libro di versi Le ceneri di Gramsci una forma particolare, e inusitata, di “poesia civile”, come mette in evidenza, tra gli altri, Maurizio Cucchi. L’indignatio in Pasolini è il primo motore non immobile dell’investigazione intellettuale che si articola in tante forme, con tante sperimentazioni stilistiche. Ma Pasolini non voleva essere considerato solo una Bestia da stile, come recita il titolo di un suo dramma autobiografico, al quale si chiedeva di render conto soprattutto delle scelte formali, perché a lui, oltre e più del come, interessava il cosa.
Enzo Biagi, in un’intervista, forse dei primi anni Settanta, gli chiedeva perché si interessasse tanto a quanto accadeva. E Pasolini: io sono uno scrittore, un intellettuale e mi guardo intorno. Era co-essenziale, per lui, in quell’epoca storica, legare arte e impegno, farsi coscienza critica del proprio tempo. E quindi dire no, essere contro. Essere contro, autonomo, indipendente anche se, va sottolineato al di là di tutti i tentativi di tirare Pasolini a destra o a sinistra, in una scelta di campo ben chiara: Pasolini si è sempre dichiarato, nonostante tutto, un comunista, ha sempre fatto riferimento al marxismo, anche se a un marxismo critico – come dovrebbe essere del vero marxismo che se è tale, aperto al divenire della storia, non può essere un dogma, ma uno strumento di lettura della realtà. Pasolini dunque è con il popolo, per dirla sbrigativamente, e contro il Potere, contro quello che chiamava il Palazzo. Nei suoi articoli continuava a individuare la costante fascista della società italiana in tutte le sue fasi, e in quelle future, per le quali prevedeva la discesa in campo direttamente del potere reale, del potere economico che non ha più bisogno del servilismo del potere politico (anzi, aggiungiamo, è infastidito dai tempi e dalle esigenze della politica). Un potere che, semplifichiamo, si serve direttamente della televisione. La televisione ormai non è solo uno strumento del potere, ma è il potere essa stessa, non veicola messaggi, ma crea messaggi (“il medium è il messaggio” diceva McLuhan). E contribuisce all’omologazione. In America, quell’America nella quale Pasolini è stato negli anni Sessanta, Marcuse, marxista critico anch’egli, parlava de L’uomo a una dimensione (titolo di un suo famoso libro del 1964), sdraiato su un unico modello di vita (al di là dell’apparente possibilità plurima di scelte). Quella che oggi si chiama “globalizzazione”. L’uomo consumatore, per Marcuse e per Pasolini. E dopo per Bauman: l’homo consumens.
Pasolini, che vede quanto accade negli Stati Uniti, preconizza un Mike Bongiorno. Bongiorno, se mi permettete una piccola fenomenologia del noto conduttore alla Umberto Eco, diceva che quando faceva un programma non si preoccupava neanche più dei dati dell’audience, ma andava a verificare se il prodotto sponsorizzato durante il programma vendesse di più: questo era diventato per lui il segno del successo. Aggiungiamo: far vendere di più un prodotto significa vendere meglio gli spazi pubblicitari del prodotto stesso, in un chiaro circolo denaro-merce-denaro: l’essenza televisiva del capitalismo, l’essenza capitalistica della televisione. Pasolini diceva che non bastava più che l’uomo diventasse essenzialmente consumatore: non si poteva (non si può) concepire altro essere umano che non fosse (che non sia) consumatore. La mutazione antropologica di cui parlava Pasolini è avvenuta. Mike Bongiorno ne era già il convinto testimonial.