adelaide russo
Prose

Perturbazione

Chi sono io? Sono il centro di questo penoso spettacolo: pessima attrice, cantante muta, musicista senza mani, danzatrice dalle gambe rotte. Il desiderio limitato dall’incompletezza, la passione soffocata dall’incapacità. Sono la parte morta, ciò che rimane. Sono i fiori all’angolo del terrazzo che hanno dimenticato di nutrire, la bambina appena nata lasciata fuori la porta di estranei. Sono il tutto che diventa niente quando è solo e rifiutato. Sono l’eccesso, l’inutile, il fastidio; l’errore, la rovina, il problema. Sono me stessa al mattino, riflessa; sono gli altri quando li scopro a me simili. Sono una e sono tanti, sono tutti e non sono nessuno. Sono la morte interiore e la vita strappata, il vuoto della solitudine e il disagio della compagnia. Sono ciò che non si vede né si sente, l’invisibile che attira l’attenzione. Sono l’inadeguatezza, il tormento, la vergogna; l’insoddisfazione, lo sconforto, la tristezza. Sono il vento in piena estate, il profumo di casa in un posto nuovo. Sono il buio alle cinque del pomeriggio, la sera del 31 agosto. Sono il contrasto, lo scontro, l’inusuale; la malinconia, il freddo, l’attesa. Sono lo spettacolo solitario del sole che sorge lento sulla città che dorme, la luna di notte che brilla soltanto per sé. Sono la pioggia improvvisa che ostacola i piani, le nuvole grigie a rubare la luce. Sono il pianto incompreso del neonato, la parola sussurrata nel frastuono. Sono l’imprevisto, l’ostacolo, l’impossibilità; l’incertezza, l’incomunicabilità, l’esitazione. Sono il viola dei miei lividi e il rosso del mio sangue, il mio corpo martoriato e sformato e incredibilmente vivo. Sono la colpa, l’insulto, la violenza; l’odio, la rabbia, il disamore. Sono il grido strozzato e la tensione del silenzio, la falsa indifferenza e la forza ostentata che uccide l’interno. Sono carnefice del mio male e il mio stesso veleno. Sono i resti dell’abbandono, ciò che non serve, che non mi hanno sottratto. Sono l’innocenza andata, l’ingenua inconsapevolezza, la fiamma debole della speranza; anima in tumulto e prigioniera, istinto di sopravvivenza e fame di libertà. Io sono, ma sono tutto ciò che non vorrei essere. E la mia condanna è non potermi cambiare.