Prose

Place Jacques Bonsergent

La bicicletta sul balcone che dà su Place Jacques Bonsergent, dalla tua finestra la vedi sempre al tramonto. Ricompare ogni volta nel tardo pomeriggio. Prima non c’è. Non sei mai riuscito a vedere di chi fosse, a che ora uscisse con il suo proprietario, o la sua proprietaria. Malgrado sia quella che si dice una bicicletta da uomo, pensi a una ragazza che sfreccia sulla ciclabile di Boulevard de Magenta e che per poco un giorno non ti ha investito. Pensi ti abbia imprecato contro. Ti sembra che ti sei scusato con un sorriso. Non ricordi se lei ha ricambiato il sorriso. Non pensi l’abbia fatto. Una tua amica fotografa sostiene che le cicliste sono sexy. Non hai mai visto quando rientrava la ragazza sexy, quando alzava la bicicletta sullo scalino e poi dentro il portone. Su quel balcone, in effetti, non hai mai visto nessuno. La sera, però, all’interno dell’appartamento le luci si accendono. Ma non compare alcuna figura, neanche ombre. Se ci fosse la tua amica fotografa, riuscirebbe a vederle le ombre. In una sua foto, scattata alla stazione Schöneberg della S-Bahn di Berlino, un ragazzo porta a mano la bicicletta ed è un’ombra con il suo mezzo: l’immagine scura di un giovane dal passo sensuale, pensi ai muscoli delle gambe e dei glutei inturgiditi e caldi dal movimento sui pedali. In un altro scatto, alcune biciclette sono dentro i vagoni del treno, probabilmente della stessa linea: le biciclette sono le sole figure illuminate, i passeggeri sono macchie scure, eppure ti sembra che la luce delle bici basti a descrivere i corpi di coloro che le conducono. Una ragazza, con un berretto da baseball e un vestito nero con piccoli disegni geometrici bianchi, è ben visibile in un’altra immagine: ma è specchiata nella vetrina di un bar intenta a parcheggiare la sua due ruote. Non sai dove andrà ora. La fotografa ha interrotto il racconto nel riflesso di una ciclista sexy. Un uomo, all’interno del locale, è indifferente a lei e continua a bere il suo caffè. La bicicletta sul balcone racconta una storia sconosciuta. Alcun riverbero. Occupi questa casa quando sei a Parigi. Non è la tua abitazione, tu non hai più una residenza in questa città: appartiene a una coppia di amici che sono spesso in giro per il mondo a fare spettacoli di mimo. Così ti lasciano le chiavi. Sono un uomo e una donna, lei è italiana e lui francese, parigino, e sono stati allievi diretti e poi assistenti del maestro dell’arte della pantomima Marcel Marceau. Attori centrali della sua compagnia. La casa è spaziosa e accogliente anche quando non è che frequentata da te, è piena di libri di teatro, di danza, di arte, volumi illustrati, alle pareti le locandine di alcuni loro spettacoli sui conflitti dell’amore, a tratti l’incanto nel ricordo del sentimento, quando pare ormai dimenticato per sempre: è questo il tema ricorrente nella loro poetica, solo questo, e tu pensi che sia tutto. Il tutto è in uno spettacolo il cui titolo, Les aimants, gioca sull’essere amanti e calamite che a volte si attraggono altre si respingono, sempre comunque magneti di un amore espresso soltanto con i gesti, negato dai gesti, dalla mancanza di comunicazione che prima o poi compare in una coppia, nelle espressioni dei volti che hanno finito le parole o stanno per pronunciarne altre. Sbagliate, di solito inopportune. Le parole scritte sono fogli di carta che ti si attacca addosso, carta sgualcita, appallottolata, gettata a terra. Lei cerca di tenere il capo di lui, poi avviene il contrario, sono su una sedia e si sfuggono di continuo, sgusciano dalle mani, ritornano in esse per essere di nuovo fermati. Contatti che si risolvono in cadute. Il tentativo di cingersi i corpi è l’ostacolo a prendere ognuno la propria strada, un abbraccio frena. Che poi si voglia essere ostacolati, questo è un altro discorso. La luce filtra da due veneziane in un interno e fuori c’è un lampione, una panchina: sono isolati a Riom in Auvergne dentro uno spazio teatrale chiamato Les Abattoirs, tra i monti, gli elicotteri dell’esercito sorvolano la vallata, sono bloccati lì perché l’aria è ostile e infetta e non possono fare rientro a Parigi, nessuno può andare a vederli, ci sono loro due e alcuni membri della compagnia allargata per le prove di un nuovo spettacolo intitolato Alice in the wonderbox, rinominato Confi-dence per via dell’inaspettato confinamento, e ti dicono che faranno per l’ultima volta Les aimants, «almeno per molto tempo», allora pensi che queste ultime repliche per nessuno siano per loro stessi. A volte il discorso sui due amanti è un gioco di doppi, di riflessi come in Les chemins de la memorie. Vi conoscete più per assenze che per presenze. Questa casa è la frequentazione costante che hai con loro. L’Alice di Alice in the wonderbox è interpretata dalla sorella di lei ed è una pantomima sulla moderna tecnologia: la scatola delle meraviglie che isola e toglie fisicità ai rapporti, la casa è una trappola illuminata da un cellulare collegato a internet. Pensi alla intensa e comunicativa fisicità dell’attrice, a quando ti chiama dall’altro marciapiede facendo girare l’intero quartiere e ride. Un pomeriggio, con alcuni amici teatranti, siete andati a bere qualcosa al café À la Bonne Bière, all’angolo tra rue du Faubourg du Temple e rue de la Fontaine au Roi nell’11e arrondissement, dove poco più di sei mesi prima c’era stato uno degli attacchi del 13 novembre da parte dei terroristi affiliati allo Stato Islamico: ci furono cinque morti. Pioveva, nessuno aveva l’ombrello, alcuni correvano per raggiungere il bar, lei, con il cappuccio della felpa stretto intorno al viso, camminava con le spalle appena curvate in avanti, senza affrettare il passo, affatto infastidita dal tempo. Era molto bella e tranquilla, avresti voluto fotografarla. Se avessi avuto con te la fotocamera le avresti fatto delle foto in sequenza. Fermando il suo sorriso quando è entrata nella brasserie con l’arredamento dai colori arancio-rossi e ocra. Caldi come i riflessi dei cocktail e del suo alito di alcol e frutta. Lo stesso odore che senti ogni volta che ti fermi nel caffè di un grande magazzino, di quelli per la moda firmata, con le commesse belle come un’attrice bella. Pensi sempre che una di quelle commesse gentili sia Milla, la bambina di un tuo romanzo ora giovane donna. Cerchi di riconoscerla nel volto e nei sorrisi, nei gesti premurosi di una delle ragazze eleganti tra gli abiti, le boccette di profumo e la gente che fa shopping o solo guarda e si aggira in un bel posto rassicurante dal buon odore. Ti piace soprattutto quello di FlowerbyKenzo. Ne hai parlato anche in un tuo libro. Avevi scritto: “Avremmo dovuto spruzzarci il profumo sugli abiti. Ora potrei ancora sentirlo. Non ricordo se fosse Kenzo Flower o Jean Paul Gaultier Classique. C’erano anche aromi di vaniglia e ambra. Muschio e gelsomino. Non devo piangere. La bottiglietta lunga con il papavero. Quella a bustino femminile rosa […] Luana Caraffa aveva scritto sul tablet: Sognare è per i demoni. L’aveva sussurrato a te, seduti al tavolino di un bar delle Galeries Lafayette, Luana pulisce il sangue sul suo revolver con un fazzolettino profumato Kenzo Flower […] Milla apre gli occhi dal suo sonno agitato e corre verso il telefonino. Mette un altro cd. Sognare è per gli eroi, canta Luana Caraffa. Milla annusa la pistola”. Il flacone del profumo è minimale, sai che è stato disegnato dallo scultore francese Serge Mansaucon, è uno stelo di vetro trasparente e leggermente curvo con stampato un lungo papavero, un fiore senza odore che assume il profumo della fantasia dello stilista nipponico: quella boccetta era proprio l’idea che avevi del Giappone a Parigi. La prima volta che l’hai vista ti sei spruzzato un soffio della sua fragranza su un polso e l’hai strofinato sull’altro. L’hai annusato. Hai pensato che fosse un bel regalo. Anche la scatola che lo contiene è bella, con il cartoncino prezioso, ti piacciono le carte preziose, le vorresti sempre per ciò che scrivi. Nella moda, come nella letteratura, pensi che i dettagli siano tutto. Lo stesso vale nella vita. Dettagli e profumo sono ricordi. Uno spruzzo del profumo di Kenzō Takada, morto all’inizio di ottobre del 2020, lo mandi su una guancia prima di uscire dal grande magazzino alla moda. Una commessa ti ha visto e ti ha regalato un fazzolettino imbevuto di eau de parfum chiuso in una bustina bianca con il papavero. Anche lei ha un buon odore: di make up, fiori dolci a fine giornata e gentilezza. Esci e senti l’aroma sul tuo viso e quello della ragazza mischiarsi all’aria fresca della sera e ai tuoi ricordi. È triste e piacevole insieme. Per un’altra morte, recente e privata, intima e struggente, c’è invece solo un’infinita tristezza. Speri che un giorno il profumo di chi ti ha lasciato così solo in un’alba sfortunata ti catturi passando per una delle strade che conoscevate bene, e che ci sia dolcezza. Che si attenui il senso di colpa per non aver capito, e ci sia dolcezza. Sarebbe bellissimo. Sarebbe stato bellissimo andarsene insieme. Un pomeriggio con una tua amica avete fatto delle foto dal tema floreale. Lei si è tolta il reggiseno e ha messo i fiori davanti ai capezzoli. Poi si è girata di schiena, ha lasciato cadere i fiori sul pavimento davanti ai suoi piedi nudi da ballerina e ha alzato un braccio, piegato il polso e guardato in alto poggiando la guancia sul braccio sinistro sollevato, i fiori erano solo tra i capelli, piccoli fiori viola. Profumo floreale, di pelle abbronzata e d’estate. Se solo potessi tornare indietro cercheresti un lavoro alle Galeries Lafayette. Niente scrittura: solo giornate tra abiti e accessori e profumi. Conosceresti una collega, vi piacereste e vi sposereste – o comunque stareste insieme in una relazione sentimentale. Vivreste lì, dormireste nel reparto Casa, fareste colazione, pranzo e cena nel ristorante all’ultimo piano e non avreste bisogno di uscire mai: dalle ampie vetrate si vede la parte più bella di Parigi, che avete già conosciuto in altre storie e non volete più perdere tempo con inutili passeggiate nelle sue strade; perché vagare per la città quando tutto ciò di cui avete bisogno è lì, a Boulevard Haussmann? Gli amanti si muovono per la città in cerca dei motivi per stare insieme. O anche alla Rinascente di Roma, quella su Via del Tritone, sarebbe stata una bella residenza, abitare e lavorare nel grande magazzino chic con i bar bellissimi tutti arredati in stili diversi e tutti di gran gusto architettonico, sotto c’è il negozio di cioccolate e dolci assortiti: sareste usciti solo per andare a comprare quelle golosità. Tanta gente À la Bonne Bière, chiacchiere allegre, la morte era lontana; e ora anche questo bar vi sembra un bel posto rassicurante. La casa vuota è calda e piena delle cose dei tuoi amici dette senza parole, priva delle parole per te quando osservi le locandine dei loro spettacoli, quando li ricordi sulla scena; è piena di comunicazione e la senti come un fatto fisico, nel legno sul pavimento o su due mattonelle scheggiate e instabili all’ingresso del bagno. Nella luce dei lampioni che si riflettono sui vetri delle finestre della camera che affaccia su Le passage des Marais nel 10e arrondissement. In questo appartamento non sei solo. La polvere di qualche giorno di assenza lascia residui epidermici. Pensi al caffè la mattina prima di partire per la loro tournée e alle avventure urbane del personaggio del clown PYM creato e interpretato da lui, in equilibrio sulle transenne e arrampicato a un lampione, verso un punto indicato da una freccia disegnata con il pennarello sopra la busta di una lettera, scala ponti ed edifici, ha i calzettoni uno dal colore diverso dall’altro, arancione e blu, e pensi che aggirarsi da soli per la città a volte è buffo ed è comunque un arrampicarsi senza meta, e spesso è meglio che sapere dove andare. Pensi anche che la tua amica fotografa abbia ragione riguardo la sensualità delle cicliste che volano per le strade di Berlino, Roma e Parigi.