Dopo la pioggia
Prose

Prima dell’alba

C’è solo il rumore che arriva da un televisore acceso. È il dialogo di un film, ma non riesci a comprendere cosa dicano. Sai per certo che quelle parole provengono da un film perché il loro suono è diverso da quello che avrebbero se fossero di un qualsiasi altro programma della televisione. La voce del conduttore di un TG, a esempio, esce dallo schermo, lo stesso per quelle dei concorrenti di un reality o di un gioco a premi, mentre quella di un film non riesce mai a liberarsene. Imprigionata nell’apparecchio, si ode ovattata, quasi soffocata e chiusa nei suoi 35 millimetri di poliestere trincerati dietro a un vetro. I suoni di una pellicola cinematografica sono pieni laddove quelli di un programma televisivo risultano vuoti. A volte ci sono spari, urla, automobili che partono, corrono, oppure pianti, battute che devono essere comiche, altre drammatiche, ma tutto inizia sempre mezz’ora prima dell’alba. Non sei in grado di capire da dove giungano quei suoni, di sicuro da un appartamento di uno dei palazzi di fronte al tuo, non ti è possibile però individuare l’interno. La finestra è sicuramente aperta: la temperatura è ancora mite. Esci sul balcone e i palazzi davanti al tuo sguardo hanno i soggiorni, le cucine e i bagni che affacciano sulla strada e mai che una di quelle stanze sia illuminata, neanche dal televisore, segno che il film è trasmesso da una camera che dà su un’altra via, probabilmente l’apparecchio è vicino al letto. Sì, è sempre un film e ti accorgi del suo rumore quando è già iniziato. Prima c’era il silenzio, ma adesso che senti i dialoghi, realizzi che non sono venuti da un momento all’altro: erano presenti prima che te ne accorgessi, qualche secondo prima, ma prima, come se fossero la conseguenza di quel silenzio. Sono vecchie pellicole, a quell’ora non mandano film recenti né tantomeno prime visioni, per ragioni commerciali, chi mai vedrebbe un film acquistato a caro prezzo dall’emittente televisiva alle cinque e trenta, è ovvio, certo ci sono i canali a pagamento, ma nessuno sceglierebbe un film su Netflix per mezz’ora, e poi il film che senti è sempre iniziato, non arrivi però a tale conclusione da questi elementari ragionamenti, quanto da quel suono che è differente dal sonoro dalle recenti produzioni, vuoi per le passate tecniche di registrazione vuoi per le voci degli attori. Non sei mai riuscito a capire di che film si trattasse. A parte due volte, e i film non erano poi così datati: una volta era Un uomo da marciapiede di John Schlesinger, lo hai capito dal main theme di John Barry. Allora hai ricostruito alcuni dialoghi e situazioni. Tipo la scena in cui il protagonista, l’aitante e ingenuo cowboy della provincia texana a New York Joe Buck, invece di essere pagato per la sua prestazione da gigolò, paga lui la donna con la quale ha fatto sesso per consolarla della delusione che questa ha quando scopre che per il cowboy di mezzanotte non era stata attrazione ma solo lavoro. Hai riconosciuto le voci di Jon Voight come Joe Buck e Dustin Hoffman nel ruolo dello sfortunato storpio suo socio in affari Enrico Salvatore Rizzo, detto Sozzo. Ti sembra di ricordare anche la sequenza di un party con alcuni frequentatori della Factory di Andy Warhol. C’erano Ultra Violet e Viva. Quella finale vedeva i due in viaggio sul bus in direzione Miami. I vestiti nuovi comprati per dieci dollari, la camicia con le palme, l’ultima rimasta. La morte di Sozzo, che voleva essere chiamato Rico. Quel film meritava ben altro orario, hai concluso. Da qualche parte hai il romanzo da cui è tratto, ma non lo hai ancora letto. Sai che l’autore, James Leo Herlihy, è morto suicida nel 1993 ingerendo una confezione intera di sonniferi. Ideale per la notte. Anche l’altro film l’hai riconosciuto dalla musica, ed era più recente (se si può parlare di recente di un film del 1981 – Midnight Cowboy era addirittura del 1969): era intitolato Egon Schiele – Exzesse, diretto da Herbert Vesely. Egon Schiele era interpretato da Mathieu Carrière e Wally Neuzil da Jane Birkin. Le musiche originali erano di Brian Eno. La deposizione contro Schiele, da parte di Tatjana Georgette Anna Von Mosig, è rappresentata nella descrizione che la ragazza fa del presunto tentativo di seduzione del pittore nei propri confronti facendola posare per un suo quadro: si vede la giovane attrice, Karina Fallenstein, che aveva diciannove anni e non tredici come Tatjana, sdraiarsi nuda, poi aprire le gambe, seduta con una camicia aperta, il monte di venere con la peluria nerissima, gli stivaletti bianchi stringati alti alle caviglie, la sua voce fuori campo sulla musica di Brian Eno sospende l’arrivo della tragedia in un momento di erotismo. Verso la fine della deposizione, la ragazza dice: Volle ritrarmi insieme a lui. La tragedia sarà il carcere, anche se poi l’accusa di rapimento e corruzione di minorenne verrà ritirata dal padre della giovane e Egon Schiele sarà condannato solo per esibizione di materiale osceno a minori. Un suo disegno verrà bruciato in tribunale. La tragedia sarà la morte del pittore e di sua moglie Edith Harms nell’ultimo abbraccio dell’influenza spagnola. La tragedia era stata la morte, dieci mesi prima, dell’ex amante e modella di Schiele spirata per scarlattina al fronte della Grande Guerra con la divisa da crocerossina. C’è il quadro di un loro abbraccio che porta la data 1915-1916: lui indossa un cappotto marrone, lei un vestitino dai disegni color arancio. Lui studia la loro immagine riflessa in uno specchio. Lei lo cinge con le sue braccia, le braccia sono magrissime ed esageratamente lunghe, come due elastici, due corde che vogliono legarlo a sé, le mani nelle solite posture di quelle di Egon. Lei ha l’espressione triste. Fu iniziato poco prima che si lasciassero. Il primo titolo era L’uomo e la fanciulla. Dopo la morte di Wally, Egon cambiò il titolo in La morte e la fanciulla. L’abbandono è una malattia mortale. Quella volta, nel buio del tuo appartamento, senza le immagini, la musica dilatata, fredda ed elettronica e le parole si erano spogliate della loro inquieta sensualità per trasmettere soltanto un senso di minaccia, poi di spossatezza, forse per la tua notte passata sveglio. Non ricordi per quale motivo. Ricordi che dovevi essere rientrato da poco. Non ricordi dove eri stato.
Ricordi però quella notte dell’ultimo dell’anno. Proprio quella fra tante. Faceva freddissimo. Il buio era freddo. Il luogo del concerto per i festeggiamenti organizzati dal comune sembrava una distesa di niente abbandonata a un lento declino. Il chiarore dei lampioni era gelido e distante. Solo piccoli barlumi inutili. L’unica luce calda veniva dalla scena. L’unico suono caldo era la musica degli Spiritual Front. Il resto era un vociare indistinto e anch’esso freddo. Freddo e stridente. Ricordi le bottiglie di spumante vendute clandestinamente. Le misere animazioni tornando a casa, clown sui trampoli, mimi e orchestrine jazz. Il lungo e grande viale, le strade del centro illuminate come un set cinematografico, le luci però non erano mai sufficienti a rischiarare tutto per bene, tutto quel buio, ogni cosa sembrava sbiadita. Anche la gente che si muoveva in gruppo e rideva e beveva da quelle bottiglie era sbiadita. Ti facesti seguire dalla musica che ormai era finita per illuderti che non fossi stato solo quella notte. Non ricordi che anno fosse.
Un altro concerto della stessa band. Quella sera faceva caldo. Era piena estate. Quando cominciarono a suonare gli Einstürzende Neubauten, lei aveva ormai capito che non saresti più venuto, te lo avrebbe detto qualche giorno dopo, immagini chiudendosi nelle spalle. Quella notte hai visto le locandine di una mostra londinese di Egon Schiele che erano state censurate. I manifesti degli Spiritual Front e le locandine di Egon Schiele. I manifesti erano di carta. Le locandine digitali. Due autoritratti nudi e la Ragazza con le calze arancioni di Schiele avevano sulle parti intime la scritta: Siamo spiacenti, hanno cento anni ma sono ancora troppo audaci. Quella notte c’era una ragazza che consultava il suo cellulare seduta fra transenne di neon che formavano un corridoio al lato del lungo viale del capodanno delle luci sbagliate. Ora quei tubi al neon davano alla ragazza la luce giusta per la sua solitudine. Il buio intorno era di un nero caldo.
Non sai se chi sta guardando il film sia un uomo o una donna né immagini l’età. Sai solo che segue con assoluta precisione la fine della notte. La mezz’ora prima del giorno varia di orario a seconda dei mesi. Il rumore dei film è iniziato a metà estate e adesso che siamo a fine autunno si è spostato di alcuni minuti in avanti. Con il cielo che si schiarisce il rumore cessa, anche in questo caso non ti accorgi del momento preciso, ma la luce ora deve averlo annullato in un istante. Non è che ti distrai preso da chissà quali pensieri, anche perché non pensi a niente, è che quella variazione pare non avere proprio un inizio. Ti accorgi del rumore del passaggio delle prime macchine, dei primi passi e questi rumori non sono sovrapposti a quelli del film. Qualcuno parla in strada, sono due persone, le loro parole non coprono nessun dialogo cinematografico. Più tardi ci saranno anche i bambini che vanno a scuola. Solo adesso cominci a pensare. Le luci dei palazzi di fronte continuano a restare spente, non noti alcun movimento nelle stanze appena rischiarate dal giorno, chi guardava la televisione non si sta preparando per uscire. Ogni mattina è così. Soltanto ieri c’è stata una variazione: era ancora buio e ha iniziato a piovere. Il film si è interrotto all’improvviso, stavolta hai avvertito chiara l’interruzione, l’attimo esatto che ha lasciato soltanto il rumore della pioggia. Siete rimasti ad ascoltarlo nell’oscurità, tu e chi era nell’appartamento del film. Attenti a non fare il minimo rumore. Solo la pioggia.