Randagi
C’erano sempre dei cani tra le vie del quartiere. Spesso malconci, rabbiosi oppure semplicemente guardinghi. Ne avevo paura come fossi io l’intrusa, eppure nessuno faceva niente per allontanarli o curarli. Ricordo un randagio che se ne stava appostato proprio di fronte al cancelletto del nostro giardino, fissava le grate con occhietti che mi sembravano rossi anche se erano neri, gocce di petrolio sul muso bianco. Papà diceva che non era aggressivo, Ignoralo e basta e se ti segue ignoralo ancora, diceva. Così ogni mattina per andare a scuola cercavo di seguire le istruzioni senza incrociare il suo sguardo, il cuore mi batteva forsennato e più cercavo di essere indifferente più mi sembrava di offrimici in pasto. Non mi seguì mai, nemmeno quando stringevo la cartella profumata del pranzo. Poi un giorno uscii dal cancelletto e lui non c’era più. Sarà morto di freddo o avrà trovato qualcuno che gli dà da mangiare, aveva spiegato papà.
Non ho mai avuto un cane né qualsiasi altro animale, nemmeno un pesciolino. Certi uomini pensano sia strana a non volerne, uno, dopo aver insistito perché prendessi un gatto, mi ha detto che rifiuto la responsabilità. Mi guardava preoccupato scuotendo la testa come fossi una paziente restia alle terapie, poi ha abbandonato l’argomento e dopo qualche tempo anche me.
Mi sono messa in testa di imparare il blackjack, studio un paio d’ore al giorno per giocare sul serio. A differenza del poker non importa chi siede al tavolo, si gioca soli contro il banco, unico avversario. Il meccanismo è semplice: si vince avvicinandosi il più possibile a 21, ma per fare blackjack occorre arrivarci con un asso e un dieci. Se così non fosse, si vince e basta. È curioso questo meccanismo, un po’ come quando si ha tutto, un compagno, una casa, un lavoro. Si ha tutto e basta.
Sono stata a Las Vegas un paio d’anni fa, non ho giocato granché, non sapevo le regole e non sapevo mimetizzarmi ai tavoli. Ci torneremo ad agosto e questa volta vorrei arrivarci preparata, seguire le istruzioni come facevo con mio padre. Tra le cose che mi piacerebbe fare a Vegas quest’anno c’è la zipline, lanciarmi a 34 metri di altezza sorretta solo da un cavo d’acciaio. Sono uscita un paio di volte con un ragazzo che praticava sport estremi, per lui il volo in parapendio è imbattibile, diceva che ha il sapore d’una libertà lieve.
Torno a Bologna, dall’autostrada i colli in lontananza sono un’onda grigia e marrone. Poi i campi, le fabbriche, il cielo. Cos’altro c’è? Nient’altro c’è. C’è la testa che è una radio, Pensi troppo, diceva papà.
I miei amici cercano di trovarmi un fidanzato, uno da portare con noi magari, la storia delle camere doppie li turba, le rendo asimmetriche. L’ultimo con cui sono uscita lavorava in una concessionaria, Le persone si capiscono da quale macchina potrebbero permettersi e comunque non scelgono, diceva. Mi porto un cappello da pescatore, faremo un giro dei canyon, dormiremo sotto le stelle, cammineremo nella polvere, ci riempiremo di rosso e di blu e di acqua, acqua che scava. La cosa che mi fa più impressione è la profondità della roccia, a pensarci mi perdo.
Se anche avessi un fidanzato non so se lo porterei con noi, mi sembrerebbe di stringere ancora tra le mani la cartella del pranzo, scegliere se difenderla dai cani o lanciarla e scappare via. Mi disinteresso dei preparativi per il viaggio, dico che va bene tutto, sono color pastello. Chiara dice che le mette ansia il mio aggirarmi sempre sola, a Vegas teme di perdermi tra la gente. I canyon sono affascinanti perché nascono dall’erosione, ho cercato questa parola su Google, c’è scritto Azione fisica disgregatrice e asportatrice. Ho cercato disgregare: Privare un gruppo di coesione, di compattezza; disunire, smembrare.
Studiare il blackjack serve a ottenere un vantaggio matematico rispetto al banco, ma non garantisce affatto la vittoria. Si tratta di sapere qual è la decisione migliore in ogni specifica situazione, quella probabilmente vantaggiosa sul momento, non quella giusta. Il controsenso è che non mi importa nulla dei soldi, papà invece era uno lungimirante, risparmiava il centesimo e poi investiva, programmava per mantenere tre figli e una moglie malata. Esercitandomi a carte imparo a ponderare, in qualche modo lo sento vicino anche se avrebbe detto che scegliere l’azzardo manca di sagacia.
Guidare mi rilassa, anche in mezzo al traffico. Dalla macchina si vede solo il profilo delle cose, non si fa in tempo a metterle a fuoco. Ieri al semaforo, una ragazza con i capelli corti cantava a squarciagola, sembrava così felice che avrei voluto scendere e infilarmi nel suo abitacolo. Batteva il ritmo sul volante, doveva essere un funk o qualcosa di simile perché mi sembrava di sentire un groove di basso elettrico e batteria dal finestrino. Mi è risuonata in testa quell’espressione, libertà lieve.
Quando il cane non c’è stato più ho pianto forte, mi sentivo in colpa verso il mio mostro, mi sembrava – ignorandolo – di averlo trattato male. Forse aveva ragione quel tizio, sono le scelte che non facciamo a definirci davvero.