Recensione di La Faglia del Fuoco di Floriana Coppola (ed. Il Laboratorio)
L’insonnia mi concede regali: un tempo di lettura più intimo, cauto, sacro. Ho letto il libro di Floriana in una di queste pause di silenzio. Sono scivolata tra le sue pagine in modo compulsivo, ho sottolineato passaggi, immagini, parole percepite come memorabili. Sono “stata” nelle sue parole, intense, piene, bellissime. Un linguaggio senza interposizioni, riservato e nudo al contempo, che si dona senza intermediazioni, senza timore alcuno.
Poi un torpore e in quel passaggio rapido, ho sognato di muovermi in una casa sconosciuta eppure accogliente. Si celebrava qualcosa, una ricorrenza, chissà. Il portato emozionale, derivato certo dalla tensione di dover presentare il testo di Floriana è finito tra quelle stanze oniriche. C’era una casa e c’erano gli invitati. Un’atmosfera serena, armoniosa. L’unica che sembrava fortemente a disagio ero io, forse evidenziato dalla necessità di sostituire le calze, inadeguate per quella festa. Mi sono ritrovata a muovermi tra quelle stanze, ad aprire, a frugare nei cassetti della padrona di casa, sotto gli occhi di tutti e provando per questo un forte imbarazzo.
Nell’immaginario onirico evidentemente la rappresentazione della casa coincideva con il libro, tra le cui pagine mi muovevo.
Da quei cassetti simbolici tiravo fuori immagini del profondo, impafronendomi di parole preziose, incorrotte.
L’interrogativo persecutorio, artefice del sogno, era se mai sarei riuscita nell’intento di trasferire quella ricchezza, quel mondo intenso e pieno che abitava il testo di Floriana. Di certo una responsabilità enorme.
Per introdurre e prendere fiato mi sono fatta aiutare dai versi di Hilde Domin.
Le parole sono melagrane mature,
cadono a terra
e si aprono.
Tutto l’interno si volge all’esterno,
il frutto denuda il proprio segreto e
mostra il suo seme,
un segreto nuovo
Sono poi entrata nel libro leggendo alcuni brani alternandoli a minime note riflessive sui nodi esistenziali del desiderio, sui frammenti di una conversazione interiore incessante e profonda, che non lascia tregua e non fa sconti a nessuno.
Le parole sono gabbie terribili. Hai detto e ti ho
risposto di getto, senza pensare, senza tornaconto.
Le parole sono specchi distorti. Segnano
schemi affilati come coltelli, dividono noi che
veniamo da pianeti diversi e non sappiamo far
guerra. Mettono su paletti e filo spinato. Le
parole. Mattone su mattone, pietra su pietra.
E così innalzano torri, cattedrali, accampamenti,
castelli, roccaforti, prigioni. Si, le parole
sono chiavi segrete, pozzi infiniti. suggelli
d’oro e piombo, grimaldelli.
L’intento di Floriana si disvela all’improvviso: ci regala sguardi incastonati nelle parole. Parole che evocano, seducono, stravolgono. Parole sortilegio per lenire la mancanza, l’assenza, il desiderio.
Parole per narrare l’amore, quello vissuto sulla pelle, l’amore scomposto, l’amore disordinato, deluso, deciso, battagliero.
Il verso attira nell’ingranaggio dell’attesa, del desiderio inconcluso cui si aggrappano ricordi, attimi sopravvissuti a una quotidianità che tritura.
Per non dimenticarti ho segnato e scritto, riscritto
e ricopiato ogni giorno un verso sulla
mia bocca, ho fatto sette giri di perle intorno
al mio collo di madre bambina, ogni ora sono
tornata donna/giaguaro, lupa e faina.
Parole che divampano, irrompono, travolgono. Parole che si incarnano, che “toccano” e si fanno toccare. La scrittura diventa strategia di sopravvivenza, arma per sondare e sottrarre, ma anche per comprendere fino a patire dell’affondo reale nell’assenza.
Tocchiamo e siamo toccati. La breccia è fatta di parole.
Le parole portano lo slancio delle cose verso di noi
e di noi verso le cose.
Parole consacrate, offerte sull’altare dell’esserci. Un femminile che accoglie e aspetta, un’attesa d’amore inifinita, una Penelope instancabile che nasconde a se stessa l’eterna tessitura.
Un desiderio ricorsivo che si avvoltola, in una costanza di bisogno, nella richiesta di intimità.
Dicono alcuni che amore è un bambino
e alcuni che è un uccello,
alcuni che manda avanti il mondo
e alcuni che è un’assurdità
e quando ho domandato al mio vicino,
che aveva tutta l’aria di sapere,
sua moglie si è seccata e ha detto che
non era il caso, no.
Wistan Hugh Auden
Parole vestali per proteggere e custodire il ricordo, frammenti di vita. Dettagli significanti.
Parole Cassandra rincorse, derise, violate, perseguitate.
Parole lupo selvatiche, indomite, coraggiose, solitarie.
Parole fiore, ora profumatissime e colorate, ora invecchiate anzitempo, sciupate che scivolano nei cessi al tiro di uno sciacquone.
Parole nude, provocatorie e rivelatrici.
Parole affilate, aguzze come faglia di fuoco.
Non credo nell’amore da contratto aziendale,
stile certificato firmato in doppia copia, lo
spazzolino da denti e il pigiama piegato per
bene sotto al cuscino. Non credo in un amore
camomilla ninnananna dindò e baci perugina
più: vai tu a portare giù la munnezza che
io devo fare i piatti. Non voglio l’amore e i suoi
bottini di guerra. Le braci ardenti, i campi
minati, fiato di pistole e coltelli, sulle facce le
maschere antigas, la somma delle brevi libere
uscite senza dedica.
I versi di Floriana aprono su immagini che scorrono vivide, sono squarci di luce, ma anche penombra discreta. Un crepuscolo riparativo del desiderio, una tana della mancanza. Sono parole in cammino su una traiettoria non prevedibile. Sono parole di bivio, di confine, di barriera: pareti altissime superate con la forza di un sospiro lieve. Ciglio, giaciglio dove il pensiero si riposa e si attenua il pensiero ripetitivo irrefrenabile.
La faglia del fuoco è rima incandescente che fortifica il volo. Icaro dispiega il suo volo e fa ritorno incolume. Intatto il volo e la traiettoria, intatto il desiderio e lo sguardo.
Le parole sono attrezzi per scavare, è corda che unisce,
è ponte tra i corpi, le menti, il mondo intero.
Si fa lenza e amo
Ogni riga una promessa che non forza, non costringe. Contiene ma non implora. Baci, baci di parole, i segni sulla faccia, sulle mani, sul cuore. Scorticature nel gesto di trattenere, di racchiudere.
Non permane l’amore, è un’onda che avvolge e
dura il tempo esatto per travolgerti.
S’impenna dentro con urgenza feroce e ti dice:
vai, non aver paura, sono qui e palpito in ogni
fibra, sei tu che vivi. Non permane l’amore ma
s’impone con le sue regole da tiranno gentile.
Chiede scusa per esserci come una bestia
affamata che non conosce, non ratifica, non
ritira il suo certificato di esistenza.
Sono entrata in punta di piedi nel testo. Un rituale sacro perché quella necessità di lettura si plachi solo con l’ultima pagina. Presa in ostaggio. Avviluppata alle parole, al verso, alle immagini. Una prima-vera insolente, spregiudicata. Avevo pagine dappertutto, sapevo d’inchiostro, di sforzo, di sudore. Le ho abitate e sono stata abitata. Non ho opposto resistenza. La scrittura di Floriana seduce in modo sapiente, raffinato. Il libro contiene preziosi segni, le pagine hanno una narrazione binaria: da un lato il testo poetico alternate a note filosofiche, una dilatazione di sguardo, un’opportunità per ritrovare assonanze, sincronie, condivisioni. Inseriti nel testo alcuni disegni dal tratto divergente e creativo di Aniello Scotto. Integrazioni discrete, uno spazio grafico per concedere una pausa tra le pagine, per sostare, per riprovare la vertigine nel labirinto d’inchiostro appena percorso. Immagini somiglianti. Il segno scarno nel turgore dei versi.