Su La sublime costruzione di Gianluca Di Dio

Le leggi sociali prive di etica imposte dal capitalismo sfrenato contribuiscono alla trasformazione degli individui in homines oeconomici, “individui economici” le cui decisioni – lavorative, sociali e non solo – sono fortemente condizionate da una razionalità cieca, e finalizzate al raggiungimento dell’unico comune obbiettivo di massimizzazione dell’utilità. Questa educazione al pensiero forzatamente razionale inibisce la conoscenza del sé e compromette considerevolmente quel processo spontaneo di crescita personale, volto alla ricerca di un’autenticità unica e individuale. Difatti il concetto stesso di “conoscenza” alla maniera socratica, piuttosto che una ricerca di nozioni memorizzate e fini a sé stesse, fa riferimento a una costante costruzione e continuo apprendimento per mezzo delle esperienze e della loro condivisione con altre persone. Questo grande fraintendimento è la causa di un diffuso senso di non-appartenenza che rappresenta il punto di inizio della trama de La Sublime Costruzione di Gianluca di Dio, romanzo edito da Voland nel 2021 per la collana Intrecci. Come una nuova Pharsalia, La sublime costruzione riscrive in chiave contemporanea la trama e i personaggi di un grande classico della letteratura quale l’Odissea, riuscendo però a distaccarsene e diventare un’opera con una propria identità. Per cui se in molti libri di storia della letteratura la Pharsalia di Lucano viene denominata “Anti-Eneide”, allo stesso modo si potrebbe pensare a La sublime costruzione come un’”Anti-Odissea”.
In un contesto post-apocalittico il protagonista Andrej Nikto e il suo amico Årvo si sentono smarriti e torturati da ricordi della vita passata, quindi per ovviare al pungente sentimento di inutilità cominciano la ricerca di un nuovo senso, un nuovo posto nel mondo in cui gli sia concessa la possibilità di tornare a guardare al futuro. In giro si vocifera che ci sia grande richiesta di figure professionali come operai e carpentieri da impiegare per la costruzione di un’opera mastodontica che rappresenti un nuovo punto di inizio per l’umanità superstite: la Sublime Costruzione. Andrej e Årvo leggono in quella possibilità di lavoro un’occasione di divincolarsi dall’oblio della non-appartenenza, quindi decidono di mettersi in viaggio in direzione del cantiere. Viaggiano su un’enorme e splendete corriera bianca, a bordo di cui fanno la conoscenza di strambi personaggi, incontrano qualche vecchia conoscenza della vita pre-apocalittica, e svolgono un bizzarro colloquio di lavoro con un recruiter dall’atteggiamento decisamente ambiguo. Il viaggio di Andrej e Årvo si articola in cinque tappe durante le quali i personaggi vengono coinvolti in delle esperienze magiche e grottesche, che spingono i due amici al limite del sottile confine tra vita, morte, realtà e suggestione. I cinque nodi della trama richiamano cinque fra le tappe del viaggio raccontate nell’Odissea, tuttavia gli avvenimenti, per quanto simili a quelli che hanno coinvolto Ulisse, sono caricati di un simbolismo assolutamente moderno. Infatti ognuna delle disavventure è rappresentativa di un labirinto psicologico tra i più frequenti che ingabbiano l’individuo del ventunesimo secolo: perdizione erotica, dipendenza da stupefacenti, cura disperata dell’estetica e la tendenza all’accontentarsi. L’ultima in particolare propone uno spunto di riflessione molto interessante riguardo cosa significhi essere liberi di agire in una società che ti mette a disposizione più mezzi di quanti tu possa mai aver bisogno – in questo modo – legittimando la richiesta di una flessibilità caotica tutt’altro che virtuosa. La scelta stessa di porre la ricerca di un’occupazione come movente di un cieco viaggio odisseico è una chiara rappresentazione di quel disagio provato dalle persone che si ritrovano compresse tra l’inconsapevolezza e la dispotica richiesta sociale di autodefinizione. Il risultato è l’insabbiamento dell’originalità che ognuno di noi coltiva dentro di sé, archetipo alla base di quella trasformazione dell’individuo sopracitata: dall’essere umano all’essere Nessuno. Nessuno come Andrej, antieroe che in maniera browniana si muove tra gli eventi che gli piombano addosso, soprannominato proprio “nessuno” da uno dei due colossi che lo tortureranno durante la terza tappa del viaggio (in chiara contrapposizione con quanto accade nell’Odissea).
In questo modo anche l’iniziale desiderio di rinascita si assopisce risucchiato da una spirale di pornografia e materialismo, che culmina nell’insoddisfazione e nella derealizzazione: è questo il punto in cui i personaggi diventano irriconoscibili, corrotti.
Nel finale, tuttavia, c’è spazio per una luce: un’evoluzione timida si concretizza nel tempo, si contrappone all’invadenza grottesca dei personaggi e degli avvenimenti, creando con la loro tragicità un binomio misterioso forse quanto quell’assurdo viaggio stesso. Quest’ultimo contrasto riaccende l’istinto di sopravvivenza che Andrej aveva già dimostrato di possedere in più occasioni, e che gli permetterà di arrivare fino in fondo alla rocambolesca avventura. La scelta di Gianluca Di Dio di concedere ad Andrej la possibilità di raggiungere la sublime costruzione potrebbe quindi essere una dichiarazione di fiducia dell’autore nei confronti dell’essere umano in quanto tale, cioè, in quei meccanismi puramente biologici e inconsci che contribuiscono, seppur velatamente, al raggiungimento dell’ultima tappa del nostro personale viaggio. Poiché il capolinea, spesso, coincide con il punto di partenza.
“Dovunque fissi gli occhi in terra dopo un po’ trovi un abisso, ma poi improvvisamente sorgono le trame luminose di un’eterna meraviglia, Andrej, la bellezza va cercata dappertutto senza riposo e senza paura… è questa la tua missione… “.