Reggaeton e rivoluzione

Quattro colpi di cassa ripetuti alla nausea, un ritmo invadente, parole sconnesse, outfit discutibili e puzza di alcolici scadenti. Chiunque in Europa potrebbe così riassumere la grande ondata di musica latina che ha invaso il mercato, le discoteche e le playlist di Spotify. E forse non avrebbe torto. È il reggaeton, il grande elefante nella stanza, talmente ubiquo da sembrare trascendente ai luoghi, alle cose e alle persone. Presenza immancabile sui lidi estivi, alle feste, nei locali e – quando è diluito nel pop – persino in radio.
Onnipresente, ma non ancora oggetto di acculturazione nel senso antropologico del termine, è un genere musicale che ha una forte connessione con il corpo, e quindi con il ballo. Il quadro si complica per gli europei ispanofoni, ai quali si spalanca un campionario molto vasto di machismo, oscenità, fellatio e rapporti sessuali nelle posizioni più varie. Ma cosa succede quando il reggaeton, con le sue tamarrate e il suo perreo, inizia a far politica?
Il 5 gennaio 2025, mentre negli Stati Uniti si avvicinava l’anniversario dell’assalto al Campidoglio e Giorgia Meloni andava alla corte del presidente eletto per chiedere la liberazione di Cecilia Sala, a Porto Rico usciva Debí tirar más fotos (Avrei dovuto scattare più foto), il nuovo album di Bad Bunny. Al secolo Benito Antonio Martínez Ocasio, Bad Bunny è tra gli artisti di punta del reggaeton, uno dei pochi ad aver raccolto consensi (culturali e discografici) anche negli Stati Uniti. Ospite al Super Bowl, recordman di vendite e scalatore di classifiche, il cantante portoricano è accolto a braccia aperte ovunque.
Eppure, se stare sotto l’ombrello americano è difficile in questo periodo storico, lo è ancora di più se si abita a 1600 chilometri da Miami. Fra razzismo istituzionalizzato, espulsioni coatte e deumanizzazione dei migranti, paura e sconforto aleggiano fra tutti i Paesi che soffrono la disgrazia di essere nel cortile di casa degli Stati Uniti.
La risposta più efficace, a pochi giorni dall’insediamento di Donald Trump, non è arrivata dalla politica, spesso corrotta e connivente, ma dalla musica.
Il cattivo “Bad Bunny” diventa semplicemente Benito, hijo de Benito, come si presenta in La Mudanza (Il trasloco), in cui racconta la storia della sua famiglia, con il padre camionista che conobbe la moglie lavorando, per l’appunto, a un trasloco. Il testo della canzone rivendica il ruolo del reggaeton come cultura, ancora una volta nel senso antropologico del tema. Cultura popolare, che dà lustro a quel dialetto e a quelle usanze altrove stigmatizzate (“In tutto il mondo conoscono il mio dialetto, il mio gergo”). In chiusura del pezzo, poi, una delle tematiche più discusse dell’intero album:

De aquí nadie me saca, de aquí yo no me muevo
Dile que esta es mi casa donde nació mi abuelo

Da qui nessuno mi caccia, io da qui non mi muovo
Digli che questa è casa mia, dove nacque mio nonno

Risulta abbastanza evidente, almeno a giudicare dai testi dell’album, che l’invasione turistica dell’isola e la gentrificazione non è altro che la faccia gentile del colonialismo. Ascoltando Lo que le pasó a Hawaii (Quello che è successo alle Hawaii) si ha l’impressione di rivedere la Cuba di Batista, parco giochi per turisti americani:

Se oye al jíbaro llorando, otro más que se marchó
No quería irse pa’ Orlando, pero el corrupto lo echó
Y no se sabe hasta cuándo

Si sente il contadino piangere, un altro che se ne andò
Non voleva andare a Orlando, però il corrotto lo cacciò
E non si sa fino a quando

Il ritornello, dalla melodia fortemente malinconica, invece, è diventato un inno alla nostalgia e alla voglia di tornare. Non per puro caso è stato immediatamente adottato da tutti coloro schiacciati dal turismo, dalla dominazione, dalla prepotenza. Sui social sono fioccati video, dall’America Latina alla Palestina, in cui si cantava:

Quieren quitarme el río y también la playa
Quieren el barrio mío y que tus hijos se vayan
No, no suelte’ la bandera ni olvide’ el lelolai
Que no quiero que hagan contigo lo que le pasó a Hawái

Vogliono levarmi il fiume e anche la spiaggia
Vogliono il mio quartiere e che i tuoi figli se ne vadano
No, non lasciare la bandiera e non dimenticare il lelolai (canto tradizionale contadino)
Non voglio che facciano a te quello che è successo alle Hawaii

Tramite un repertorio incredibilmente vario, che mescola reggaeton a generi tradizionali come salsa, plena, bolero e jíbaro, la denuncia sociale è pervasa da un forte senso di malinconia e di orgoglio frustrato. Come di chi vede le cose scivolare via senza poter far nulla. In Turista, ad esempio, si paragona la storia di una notte alla condizione dei turisti che vengono a passare le vacanze senza curarsi del luogo:

Una foto bonita, un atardecer hermoso
Una bailaíta’, tu cadenita de oro
Estuvimo’ tan cerquita, mirándono’ a los ojo’
Dime si viste la pena de mi corazón roto

Una bella foto, un tramonto meraviglioso
Un balletto, la tua catenina d’oro
Eravamo così vicini, guardandoci negli occhi
Dimmi se hai visto la pena del mio cuore spezzato

La forte identità latina non passa solo dalla lingua, dal ritmo e dai campionamenti di canzoni tradizionali, ma sovverte anche alcune regole basilari del mercato discografico. Pur trovandosi nell’emisfero boreale, l’estate a Porto Rico corrisponde alla stagione delle piogge, mentre l’inverno è tendenzialmente più secco e gradevole. Far uscire un album “da spiaggia” nel periodo dell’estate australe significa rompere le logiche del colonialismo discografico, che impone l’uscita di dischi nel periodo compreso tra maggio e agosto, quando gli occidentali sono in ferie. A dir poco esilaranti, per esempio, i video di gente che balla la salsa di Bad Bunny tra le nebbie della Pianura Padana o sotto la fredda pioggia inglese. Tutto un programma anche l’organizzazione dei concerti, il cui tour prevede la bellezza di 21 date a Porto Rico, di cui le prime nove riservate solo ai residenti dell’isola.
La scommessa è già stata vinta. Nonostante il sovvertimento di qualsiasi regola di mercato, l’album totalmente continua a macinare stream su stream. A inizio di marzo la canzone DtMF (Debí tirar más fotos) ha ampiamente superato i 500 milioni di ascolti, NUEVAYoL e BAILE INoLVIDABLE sono ampiamente sopra i 300 milioni di ascolti. Per quanto sia difficile trovare una correlazione causa-effetto, mentre negli Stati Uniti di Trump aumentano gli arresti, le deportazioni e gli episodi di intolleranza, crescono gli stream di un album intrinsecamente politico e orgogliosamente latino.
Ebbene, trarre delle conclusioni è abbastanza difficile. Il reggaeton non salverà il mondo e Bad Bunny non è Victor Jara. È però difficile ignorare una testimonianza del genere. Se a Porto Rico avrebbero dovuto fare più foto, noi non possiamo lasciare sola l’America Latina in tempi di neo-imperialismo.

Ya no estamo’ pa’ la movie’ y las cadena’
‘Tamos pa’ las cosa’ que valgan la pena
Ey, pa’l perreo, la salsa, la bomba y la plena

Non siamo più qui per i film e le catene
Siamo qui per le cose che sono importanti per davvero
Ehi, per il reggaeton, la salsa, la bomba e la plena