Sottosuolo

Il 1864 fu un anno fatale: la guerra di secessione americana, la I internazionale dei Lavoratori, la ratifica della convenzione di Ginevra, la scoperta dell’elettromagnetismo, oltre ai soliti massacri e alle solite caducità umane. Anno in cui Dostoevskij pubblicò uno dei libri più innovativi della storia della letteratura: Memorie dal Sottosuolo. Il quarantatreenne russo intuì l’esistenza di un mondo interno molto differente da quello esterno, anticipando quelli che poi sarebbero stati gli studi sull’io, e approfondì l’analisi del dissidio profondo che ogni uomo porta in sé, soffermandosi sulla dicotomia esistenziale tra l’uomo autentico e l’uomo d’azione, entrambi parte della società ed entrambi dipendenti l’uno dall’altro nel cammino verso l’evoluzione.
Il 1864 fu per l’autore un anno abissale, funestato dalla morte di tre delle persone a cui teneva di più: la moglie, il fratello e un suo prezioso collaboratore. Quell’anno Dostoevskij era dentro al proprio sottosuolo e questa piccola grande opera non è altro che il flusso speculare dei suoi pensieri e il tentativo per uscire dalla caverna oscura.
Cos’è il sottosuolo?
Il sottosuolo è lo status naturale dell’uomo, il labirinto della coscienza umana, la sede dove ogni essere si rifugia e riflette. All’interno di questo fosco e cupo luogo, Eros e Thanatos convivono, l’amore si confonde con l’odio, il conflitto regna sovrano, ed è quindi impossibile prendere una decisione, così come è infattibile trovare una via d’uscita.
Il sottosuolo è la sfera della vita psichica nella sua intimità libera, necessariamente in urto con le leggi del mondo esterno, nel quale domina l’intelletto astratto e la legge morale. C’è una stridente disarmonia tra ciò che è intimo e ciò che è sociale, una disarmonia che provoca inquietudine e smarrimento.
Cosa è moralmente giusto? La convenzione o la solitudine libera? L’imposizione o il volere?
Il sottosuolo è negazione, contraddizione, rifiuto delle convenzioni, distruzione delle consuetudini e perdita delle abitudini, è assenza di ogni legge e convenienza imposta dalla società o dal prossimo; ma è anche una prigione, una prigione per l’uomo autentico che resta intrappolato nelle proprie antinomie, fondando in queste anche un masochistico senso di piacere. Questo spiega non solo la necessità dell’uomo d’azione all’interno della società, ma anche il ruolo di quest’ultimo per avanzare e progredire nella storia. La differenza fondamentale tra i due tipi di uomo si basa proprio sul concetto di limitatezza, perché se l’uomo autentico riflette e si perde all’interno di sé stesso, quello d’azione al contrario crede di riflettere, ma la sua stessa limitatezza gli fa confondere le cause secondarie e dirette per cause primarie, in questo modo egli si convince di aver trovato il fondamento e si tranquillizza, ma in verità ha solo smesso di scavare troppo presto; nonostante ciò egli è l’unico che agisce e per questo è necessario per il progresso fattuale.
Il sottosuolo è l’essenza autentica del nostro essere, la parte più nascosta, quella più protetta, tutto ciò che succede “lì dentro”, nel fondo, è un segreto da portare con sé fino all’ultimo e sofferto respiro; tuttavia è ontologicamente insidioso e per evitare di essere irretiti senza rimedio in limacciosi e letali dubbi, conviene portare con sé un filo rosso, così, come Teseo, una volta trovato ciò che dovevamo, riusciremo ad uscire, rivedendo la luce.
L’inconsistenza del vivere, il meccanicistico movimento dell’esistenza umana, la disperante assenza di finalismo, se non su un piano più ampio orchestrato dalle leggi naturali, sono i vulnus dell’anima moderna che Dostoevskij coglie e anticipa, in una riflessione nichilistica originaria. Scegliere di conseguenza, come una sorta di fato ineludibile, la strada impervia della disperata autocoscienza all’immensa esagitata danza del nulla, deragliare verso la follia lucida pur di sottrarsi all’inutile gioco della storia, asserragliarsi nel sottosuolo piuttosto che osservare inermi da un vacuo palazzo di cristallo.