Tra Inferno e Paradiso: il Guatemala di Santella e Cattelan
Un libro di viaggio. Un reportage. Uno spaccato antropologico. Parliamo del libro scritto a quattro mani da Marino Cattelan e da Pasquale Gerardo Santella. Scritto e illustrato: il volume, La terra del Quetzalcoatl (Michelangelo 1915 Editore, Palma Campania 2024), è arricchito infatti da una serie di foto scattate dai due autori. Se Cattelan è un professionista, che ha dedicato diversi libri al Centro America, le immagini immortalate da Santella non sfigurano. Entrambi gli autori, con i loro testi e le loro immagini ci immergono nelle meraviglie e nelle miserie di un paese (per noi) lontano: il Guatemala (e dintorni).
Due sguardi diversi, ma complementari. Quello di Pasquale Gerardo Santella, docente in pensione, saggista impegnato, è lo sguardo del viaggiatore attento e certo non del “turista per caso”: ha compiuto questo viaggio ormai diversi anni fa, ma solo ora vede la luce il taccuino di appunti scrupolosamente presi durante
17 giorni, 8 aerei, 32 ore di volo per oltre 30 mila km, più di 1500 in minibus. Città del Messico, Città del Guatemala, San Salvador”; queste le principali tappe del suo “viaggio in Centro America, e anche città coloniali, lontani villaggi degli altipiani, desolate bidonvilles, musei, biblioteche, cattedrali barocche, palazzi storici, monumenti, rovine delle antiche civiltà degli Atzechi e dei Maia, laghi, fiumi, cascate, verdi pendici dei vulcani, la lussureggiante foresta tropicale. L’incanto dei mille colori, l’intensità di suoni, profumi, sapori”.
Non si può riassumere meglio questo libro se non attraverso le parole stesse di Gerardo, che ci avverte fin dall’inizio che quello che naturalisticamente, ma anche per la gentilezza e umanità dei suoi abitanti, ci appare come un paradiso, in realtà mostra anche (potremmo dire: come Napoli), nel risvolto della medaglia il suo aspetto infernale, dai quartieri sporchi alle bande assassine, disoccupazione, alcolismo, narcotraffico, prostituzione, bambini abbandonati e fame. Ecco uno di questi squarci magistralmente rappresentati dalla penna di Gerardo:
“A Città del Messico, come a Città del Guatemala, visti da lontano, velati da una foschia di smog di giorno o illuminati di sera, sembrano i paesi presepe della nostra costiera amalfitana abbarbicati sui monti, una cascata di case degradanti verso il piano. Solo che qui non intravedi spazi verdi e le case dai piedi della collina si estendono compattamente fino alla cima addossate l’una all’altra. Quando poi ci passi vicino, l’illusione scompare”.
La miseria che doveva trapelare, prima che il turismo la scoprisse e investisse, dai Sassi di Matera: così come ce ne parlava Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli. E, anche qui, Cristo sembra essersi arrestato lontano.
È Gerardo stesso a presentarci, nel libro, l’altro autore. Lo fa nell’Introduzione, quando ricorda come, lui giovane insegnante meridionale di Materie letterarie in una scuola media, abbia conosciuto il veneto Cattelan, suo alunno, a Marostica, in provincia di Vicenza, nel lontano 1973. E di come ex insegnante ed ex allievo, si siano rivisti per la prima volta quarant’anni dopo, nel 2011, sul sagrato della Cattedrale di Antigua in Guatemala, paese nel quale l’ex allievo era giunto da lungo tempo per un’esperienza di volontariato presso il Centro San Josè, diretto da Don Livio: e lì aveva sposato una donna indigena. Già queste poche informazioni ci fanno capire la particolarità dello sguardo di Cattelan, che non è quello del viaggiatore, ma ormai quello di un antropologo che, alla maniera di un Claude Lévi-Strauss, in Amazzonia, o di un Bronisław Malinowski nel Pacifico occidentale, può svolgere una “osservazione partecipante”, e possiamo aggiungere partecipata, visto che la sua permanenza in quelle terre è stata senza dubbio più lunga di quella dei due etnologi nei loro rispettivi luoghi. Cattelan, nella seconda parte del libro, ci regala una serie di racconti dedicati a luoghi e personaggi a cominciare dal Quetzal, che dà il titolo al libro, uccello sacro per i Maya, e simbolo del Guatemala, ormai in pericolo di estinzione che vuole fotografare con pazienti appostamenti:
“Si sente in lontananza il verso del Quetzal maschio. Poi eccolo ancora più vicino. Dall’altra parte del torrente, tra le chiome di una enorme pianta intravedo la coda verde che si muove per la brezza che scende dal vulcano. Il petto rosso appare in mezzo alle foglie ovali di questa pianta coperta nei rami da diversi tipi di bromelie ed orchidee. L’uccello ha in bocca qualcosa che porterà ai due piccoli, gira lo sguardo attento a destra, poi a sinistra, poi piega lievemente la testa per vedere più a valle”.
Non solo questa natura primordiale è protagonista in queste pagine, ma anche gli esseri umani che la popolano, i cui volti altrettanto primordiali si affacciano dalle foto di Cattelan come dalle finestre delle proprie abitazioni. Ecco allora, per fare solo due nomi, Juan:
“Juan non è come gli altri disgraziati: sporchi, drogati, violenti, ubriachi, pesanti, no lui è ben vestito, indossa una giacca rossa della North Face, sicuramente ricevuta in regalo da qualche straniero nelle notti fredde. (..) Porta uno zaino nero e gonfio e ricucito nelle due cerniere; nell’altra mano una borsa contenente due cartoni ben piegati che gli serviranno da materasso e una coperta di lana leggera”; Lolo: “Di statura bassa, magro e pelle scura: tutto energia. Quando lo incontravi per la strada lo riconoscevi da lontano. Il cappello e gli specchietti della bicicletta risaltavano e non ti potevi sbagliare, poi quando arrivavi vicino, i lunghi baffi riempivano il tutto. Infatti Lolo era i suoi baffi”.
E un ultima, folgorante immagine dalle pagine di Cattelan:
“Il Guatemala si trova nei mercati. Nelle bancarelle di tessuti, di terracotta, di cappelli di paglia, nella colorita frutta, nel mare sconfinato delle verdure. Profumi esotici, fragranze nuove, nettare divino. Un formicaio che inizia presto a muoversi quando la notte lascia spazio alle numerose silhouette che vanno e vengono da un posto all’atro mescolandosi con profumi e raggi di luce che trafiggono l’arcobaleno di colori”.
E questa, oltre che vita, è anche letteratura.
Foto: Claudio Allia, CC BY-SA 3.0 – Wikimedia Commons