Triolagnìa di Nello Provenzano: recensione dello spettacolo

Satirico, impertinente, scanzonato e impunemente erotico.
Sono solo alcune delle definizioni che possono, in qualche modo, cercare di tradurre un’opera come “Triolagnìa”, pièce in tre atti, scritta e diretta da Nello Provenzano. 
Per cercare di comprenderla pienamente, bisogna partire da una piccola ricerca su Google per scoprire le origini del nome stesso. Infatti con triolagnìa, o triolismo, si intende una pratica parafiliaca per cui una persona, consapevolmente e volontariamente, induce il proprio o la propria partner a vivere esperienze sessuali con altre persone, allo scopo di riceverne gratificazione sessuale; e questa è apparentemente la trama dello spettacolo.
Scriviamo “apparentemente” perché, in verità, la vicenda sessuale è solo un escamotage ideato da Nello Provenzano ai fini di poggiare su un fil rouge narrativo la vera natura della rappresentazione di tipo meta-teatrale e, soprattutto, di agnizione.
Ma procediamo per gradi.
Nel primo atto i nostri protagonisti, interpretati da Valeria Impagliazzo e Gianluca Cangiano, s’incontrano all’interno di un cinema in cui sono completamente soli. Entrambi sono caratterizzati da una timidezza atroce e tuttavia assolutamente esilarante. Gianluca interpreta un uomo profondamente inetto, dedito ad un’autogiustificazione costante, nella speranza di non farsi fraintendere e di mascherare la sua incapacità con le donne. Valeria invece, sebbene altrettanto timida, introversa e pudica, brilla di una certa solarità e simpatia congenita, dando l’idea di essere, tra i due, quella più determinata e romantica.
I due sono fatalmente attratti l’uno dall’altra ma scopriranno, attraverso la pellicola, che invero si sono già conosciuti.
È questa la fondamenta di uno spettacolo fatto di specchi, in cui realtà e finzione vanno a fondersi attraverso scene sia comiche, sia grottesche; a tratti intimiste e riflessive, in altre circostanze buffonesche come i giochi dei bambini.
È giusto soffermarsi su questo concetto del “gioco” e sul sentimento che trascina il pubblico durante tutta la pièce: la giosità intrinseca dei giochi per bambini. I protagonisti, nel secondo atto “Cuckold”, come figli di un padre crudele, si ritrovano a inventare degli escamotage per cercare di autodefinirsi in una narrazione che scorre a prescindere dalle loro volontà, mettendo su delle scene che rasentano il tragico ma la cui natura è sempre quella del gioco e dello scherzo.
Valeria e Gianluca, nel loro arduo compito di essere contemporaneamente sia gli attori dell’opera che le personalità “risvegliate”, consapevoli di essere in un teatro a ricalcare, in maniera istrionica, la vita vera, a causa di un regista burattinaio, hanno sicuramente toccato un punto nevralgico e fondamentale del teatro del nostro tempo: hanno ricordato agli attori, e ai perfomers in generale, che bisogna giocare con i propri ruoli. Non prendendo sottogamba il mestiere attoriale ma riscoprendo l’antico talento dell’uomo di imitare la vita, e reinterpretarla, proprio come suggerirebbe il verbo “re-citare”.
Piccoli nei di questa interpretazione sono state alcune scelte di scrittura, a tratti confusa (come nel passaggio dal primo al secondo atto), altre volte troppo descrittiva, come nel caso del secondo atto in cui Gianluca comunica direttamente al pubblico (rompendo la quarta parete) che stanno facendo del metateatro. Ci è sembrato, al momento, che avesse un po’ rotto troppo bruscamente la magia dell’illusione scenica in cui anche il pubblico stesso, per utilizzare un termine affine alla dialettica erotica, era un voyeur sadico della vicenda, partecipando anch’esso alla triolagnìa propriamente detta.
A parte questo, abbiamo molto apprezzato la possibilità che viene offerta da questo spettacolo di affrontare temi centrali sia del teatro, che della vita stessa, riguardanti la sessualità e i pregiudizi, senza la solita pedanteria di certi ambienti che sembrano essere esclusivi e limitanti. Triolagnìa è un’opera per tutti e che parla di tutti noi, e che ci lascia con delle domande: qual è il nostro ruolo nel gioco di seduzione sociale con l’alterità?
Chi siamo quando ci accorgiamo di essere osservati?


Un contributo di Vincenzo Orefice e Pasquale Asseni

Foto: Teatro TRAM