Troppo bianco
Tuffarsi Senza Ossigeno. Temere Silenzi Onnivori. Tramare Scappatoie Oniriche.
Sono qui rinchiuso, da giorni oramai.
Quanti saranno? Dieci, venti, molti di più, molti di meno, ho smesso di contarli.
Prima tenevo il conto pure delle ore, ma poi ho iniziato a fare confusione, tra quelle luminose e quelle buie, quelle grigie e quelle troppo chiare, da sveglio e mentre dormivo.
Sono prigioniero tra queste quattro mura che poi, a esser precisi, sarebbero tre e mezzo, perché su una parete c’è la porta.
È tutto troppo bianco, anche la porta è bianca e a me tutto questo candore abbacinante mi soffoca, come la neve. Mi manca il respiro in questa uniformità incolore.
Mi hanno detto, Loro, che è più sicuro qui che non fuori.
Forse perché fuori non faccio altro che starnutire, saranno le graminacee. O sarà che c’è troppo rumore e gira tutto. Girano le macchine, le persone e le rondini, girano gli alberi, le cartacce sui marciapiedi, i monopattini e i palazzi. Giro io etciù.
Insomma, i miei hanno ritenuto che separarmi dal mondo fosse cosa buona e giusta. Lo hanno deciso quel pomeriggio in cui mi sono messo a inseguire il vento per fermarlo.
Io non volevo venirci qui, anche se alla fine ho persino firmato quel pezzo di carta per dire che ero d’accordo. Perché mi fido sempre di quello che mi dicono. A dirla tutta, mi piace farli contenti, i miei. Ci tengo a essere un bravo ragazzo, un figlio devoto. Così come ho fatto quando ho finito le superiori, che io volevo andare all’università, a studiare il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me. E mamma e papà, invece, mi hanno trovato un lavoro al supermercato, hanno detto che era meglio essere indipendente, guadagnare i miei soldini. E a imparare come si vive non ci sono più andato, però che soddisfazione sentirmi dire Bravo, tesoro di mamma.
Non metto mai in dubbio che tutto ciò che loro fanno sia per il mio bene. Sì, deve essere senz’altro così.
Meglio serrare ogni porta, mi hanno detto, immagino per questa intolleranza che mi provoca il solletico alle narici e le vertigini.
Certe volte mi si gonfiano anche gli occhi, le palpebre come due canotti, TIPO QUELLI DEI MIEI CUGINETTI, QUANDO SI ANDAVA TUTTI INSIEME AL MARE, A FARE IL BAGNO AL LARGO, CHE IO ANCORA NON C’AVEVO LO STARNUTO FACILE.
Eppure io me ne stavo già tranquillo a casa mia, nella mia stanza che almeno non è immacolata come questa che mi fa paura, così senza peccato, come una madonna di mattoni e cemento.
Sono un ingenuo, credevo che questa cosa si potesse curare con delle pasticchine, l’ho sentito alla tv, dal signor Luciano Onder. Ma poi mi hanno spiegato, Loro, che mica sono qui per l’allergia, che quella è una sciocchezza. Mi hanno detto che in realtà non sto bene perché parlo da solo, ad alta voce – glielo deve avere riferito mia madre.
E pare non stia bene parlare da soli. Non ho capito se per il tono di voce troppo alto o se proprio non si debba fare, a prescindere.
Intanto, dopo un bel po’ che stavo qui, si sono degnati di chiedermi il perché: hanno voluto sapere come mai a un certo punto mi metta a conversare con me stesso, che detto così fa strano pure a me, e gliel’ho detto.
Non è che faccio botta e risposta, non sono mica pazzo, eh!
No, in realtà io penso. È vietato, forse? Ho questi pensieri, più che altro ricordi, che mi vengono da lontano, molto lontano, e non li sento. Cioè, ho un deficit dell’udito, me lo hanno diagnosticato quando ero ragazzino, e nel tempo sono anche un po’ peggiorato. Non sono proprio sordo, ma faccio fatica a sentire le persone che bisbigliano e i suoni molto flebili. E questi miei pensieri sono così distanti che o mi avvicino – a che cosa dovrei avvicinarmi? – o li ripeto ad alta voce, ecco come stanno le cose!
Ma se Loro mi dicono che non si fa, mi voglio fidare di questi esperti di normalità e resto in questa stanza ancora un po’. Hai visto mai che guarisco pure dall’allergia etciù.
Nel frattempo continuo a immergermi nei miei ricordi, col tono che ritengo necessario, per sentirli, intendo.
E allora certe notti urlo, che poi sarebbe una risata, perché mi tornano alla mente delle cose veramente divertenti, come QUELLA VOLTA CHE DA PICCOLO HO COSPARSO DI COLLA LA SEDIA DI PAPÀ E QUANDO SI È ALZATO DA TAVOLA È RIMASTO QUASI IN MUTANDE!
Rido come un matto. Ed è quello che mi ha detto Uno, qui.
Mi fa Tu da questo posto non esci più, caro mio, perché sei pazzo.
Io gli ho chiesto se pure quando avrò smesso di starnutire non potrò tornare a casa.
Mi ha risposto voltandomi le spalle e facendo cenno con le braccia come un grande chi lo sa.
E allora continuo a raccontarmi le mie storie, per farmi compagnia e per non dimenticare, che qui, in tutto questo bianco, finisce che mi cancello pure io.
Finisce che sparisco in una mattonella e da lì non mi si sente neanche più la voce.