Quante forme ha la solitudine? Tutto finisce con me di Gabriele Esposito

Gabriele Esposito pubblica il suo romanzo d’esordio, Tutto finisce con me, per Wojtek Edizioni e svela, attraverso la vita e i pensieri del protagonista, gli infiniti volti della solitudine, particolarmente descritta sotto un duplice aspetto: l’assenza e l’alienazione. L’anonimo protagonista narra ciò che gli accade passo dopo passo, volto per volto, parola per parola, attraverso due mondi distinti. Nel primo capitolo è descritto un risveglio insolito e silenzioso: egli si scopre abitante di una città morta, in cui il tempo è congelato e lui è l’unico essere umano presente, dove gli altri, scomparsi, hanno lasciato solo le tracce del loro passaggio; successivamente, il mondo torna a essere quello di sempre, popolato, frenetico e caotico, con un lavoro da svolgere e relazioni da intrecciare. I due mondi si alternano continuamente e mentre il protagonista lotta contro se stesso per scegliere quale dei due abitare, la sua indecisione insinua anche nel lettore un dubbio che diventa, pagina dopo pagina, ossessivo: io, quale mondo sceglierei?
Gabriele Esposito, donandoci la visione di una condizione decisamente utopica, ci permette di analizzare con maggiore lucidità il mondo che abitiamo, ovvero un mondo, quello reale, che si regge sull’apparenza, sulla corsa al primato, sull’ossessione della propria immagine, come quella del protagonista per il proprio corpo, ovvero la paranoia di cosa potrebbero pensare gli altri se ciascuno uscisse fuori dai canoni prestabiliti e fittizi della società. Ed è per questa ragione che nel non-mondo in cui il protagonista si sveglia, dopo lo smarrimento e l’angoscia della solitudine fisica e assoluta, egli conosce finalmente la libertà – di sbagliare, di fare quello che sotto gli occhi di tutti non avrebbe mai fatto – non riuscendo a frenare, tuttavia, l’impulso di controllare se qualcuno lo abbia cercato al telefono, aprendo e chiudendo l’applicazione “tre volte nel giro di quindici secondi”, sintomo di una dipendenza che affligge tutti noi: i social e l’iper-connessione. Il desiderio di essere riconosciuti, gratificati, la ricerca di attenzioni che si misura in “mi piace” e in notifiche di messaggi e, soprattutto, l’incapacità e la paura di vivere in solitudine – “Il mondo non è forse tutto un osservare, tutto uno stimolo, un bisogno di ricompensa necessaria ad andare avanti?”. L’effetto dello stile scarno, insieme alla descrizione realistica di una qualsiasi persona, donna o uomo, del ventunesimo secolo, è straniante. Il lettore diventa progressivamente conscio che la propria esistenza è scissa in molteplici e costruite finzioni. Finché avviene, infine, una collisione, uno schianto del protagonista contro la forma di solitudine più assoluta: l’abbandono. Prima la perdita della madre e l’incontro con la morte, poi la separazione con la fidanzata Veronica. I due mondi, prima distinti, ora si allineano uno sull’altro fino a fondersi. Privato degli affetti, egli è di fatto solo ma circondato da persone annegate in un mondo virtuale in cui il confine realtà-finzione è indistinguibile, in una società alienata, alienato anch’egli.
Quanti mondi abitiamo? Quante solitudini soffriamo? La vita che viviamo è davvero nostra? Tutto finisce con me è un romanzo spaventosamente attuale e, forse, la scelta di lasciare il protagonista nell’anonimato è segno che egli porta il nome di ciascuno di noi. La nostra esistenza è scissa in molteplici finzioni, mentre la nostra essenza è nascosta sotto strati di insicurezza mascherata di egocentrismo.