Un giorno come gli altri
Mentre Maria applica uno strato di colla sulla parte alta delle tempie sbircio la mia figura allo specchio, la mascella pronunciata è diventata calante, noto con evidente fastidio di essere un’incartapecorita copia di Sid Vicious. Lui resterà per sempre giovane, il problema è di chi vive nel presente e si decompone con l’avanzare del tempo.
Sono qui nel bel mezzo del deserto in qualche angolo sparuto della Sardegna, c’è una troupe di venti elementi tra comparse e figure tecniche, manco dovessimo girare un colossal Hollywoodiano.
Ho appena firmato un contratto a sei cifre per due album, ripeto a me stesso. Sono esattamente dove dovrei essere a questo punto della mia carriera, dove merito, ho sudato per esserci. E sto letteralmente sudando anche oggi. Devo solo infilare la maglia dentro il pantalone e sperare che nessuno se ne accorga che sono pelato, ho la pancia flaccida e mi disgusto. Quando uscirò di nuovo fuori da questo camerino dovrò sfoggiare il mio atteggiamento migliore. Solenne e determinato come preferisco farmi vedere in pubblico, ed è una cagnara di palpitazione, panico, depressione e adrenalina.
È nervoso il regista perché siamo in ritardo con la lavorazione, dovrei comprenderlo perché è il suo primo videoclip importante, ma ha dimenticato che sono io la star, non la biondina ingaggiata chissà dove e ancora meno lui. Quando mai un regista di videoclip ha contato qualcosa. Se non facciamo presto mi staccherò questa oscena parrucca dalla testa prima di girare una sola scena, questo è quello che conta davvero.
Maria, non a caso il nome della Madonna, mi rimette in sesto. Alla produzione avevo detto che mi era piaciuto Sid & Nancy, un film con Gary Oldman visto non ricordo dove e con chi, forse in qualche rassegna sul rock ma poco importa, fatto sta che loro hanno ben pensato di farmelo interpretare in una strana versione apocalittica in mezzo al deserto. La prossima volta mi faccio i cazzi miei. Scorgo dal finestrino Simona qualcosa, l’attricetta senza nessun talento che è stata ingaggiata per il ruolo di Nancy. Fuma spazientita al riparo sotto a un ombrellone.
Faccio una pippata veloce e senza manco accorgermene Maria è già pronta con il collirio per attenuare il rossore agli occhi. La ragazza si è appena guadagnata un sostanzioso extra a fine giornata. Esco dalla roulotte, un’assistente di produzione mi piazza una giacca di pelle sulle spalle così calda che sento che sto per incendiarmi grazie a quel fenomeno chiamato combustione spontanea. Bene, giriamo questo videoclip del cazzo. Sono un professionista, io.
Il regista ha il volto segnato dal sole e dalla tensione, gli do una pacca sulla spalla, ne ha bisogno più di tutti perché è in difficoltà, ma lui mi guarda con aria di sfida. Se continua così sarà il primo e ultimo videoclip che dirigerà e tornerà a fare i video delle sagre di paese, come quando ha iniziato qualche anno fa.
«Tutti in posizione, siamo pronti per girare».
Si alza dalla sedia, mi prende sotto al braccio. Mi sta per catechizzare. Lui a me.
«Ti ricordo che la tua parte è in piano sequenza e devi fare esattamente quello che ci siamo detti ieri». Indica una ragazza corpulenta alla sua destra vestita di nero che solo a vederla sto sudando ancora di più, «devi seguire quello che ti dice di fare Lisa, un solo errore e dobbiamo ripartire da capo ogni volta». Poi si gira intorno e grida peggio di un ossesso più volte la parola forza con la stessa carica che potrebbe avere un animatore dei villaggi turistici.
Dico «ok» per rassicurarlo, mi sento buono. Anche se in questo momento la bocca impastata non mi dà tregua, sono atassico come spesso lo era il caro e vecchio Sid. Desidero soltanto un gin tonic pieno di ghiaccio che in questo posto sperduto equivale a un miraggio.
Danno l’azione, parte la base del brano, canto in playback facendo alla lettera quello che mi è stato detto.
Il regista mi ferma. «Troppo spento, non segui il ritmo, devi muoverti uguale a lei». E altre amenità.
Stiamo da un paio d’ore qui senza fare nulla, mi ha rotto il cazzo. Ripartiamo. La musica ricomincia, lei si muove in avanti, segue il tempo. Dovrei fare lo stesso anche io, lasciarmi andare, stare al passo. Ma questo stronzo stoppa l’azione. Non capisco dove sta il problema. Forse vorrebbe domare il leone, ma non ha capito che è un agnellino.
Dopo l’ennesimo stop senza senso, stizzito e incazzato, rientro nella roulotte e tento di strappare questa dannata parrucca dalla nuca per grattarmi la mia pelata ma non ci riesco.
Urlo il nome di Maria con la voce rotta dalla coca, senza accorgermi che è già all’interno del camerino. Mi aiuta a staccare i residui di colla con le sue mani piccole e paffute.
Bussano alla porta, dico con tono incazzato «un attimo».
Sfilo questi maledetti pantaloni e mi tiro una striscia bella lunga già apparecchiata sul tavolino.
È tornata la pace. Ma dura giusto il tempo di alzare la testa da questo specchietto.
«Dobbiamo girare prima che cambi la luce, vuoi uscire per favore?», strepita, come da copione, il disperato Fanna.
«Non posso, sono indisposto», dico io. Il tono è beffardo, da presa in giro. Faccio segno a Maria di avvicinarsi al finestrino per assistere alla scena, “ora s’incazzerà di brutto” e parto con una risata stronza.
«Per oggi ho chiuso con le riprese. Gira qualcosa con le comparse». Maria si avvicina e ridiamo insieme come due birbanti che hanno appena fatto una marachella a scuola.
Più che altro sono costretto a far capire chi comanda qui. Il ragazzino viziato al quale nessuno ha mai detto di no bussa ancora più forte. Solo che non ha capito chi è il vero viziato qui. Non ci arriva proprio che non deve rompere il cazzo. Afferro un piegaciglia di metallo dal tavolino e lo tengo in mano senza dare peso al fatto che non sia una vera e propria arma mortale.
Appena apro lo sportello me lo trovo di faccia. Da così vicino è ancora più brutto. Parlo io poi che indosso solo le mutande e mezza parrucca in testa, sono più buffo di Bryan Cranston nel pilot di Breaking Bad.
Sento le tempie pulsare all’impazzata, mi sta salendo tutta insieme l’ultima botta. Vorrei gridare il mio disappunto ma provo a mantenere un contegno altrimenti mi gioco per sempre il ruolo del despota.
«Allora? Cosa vuoi ancora? Ti ho detto che per oggi abbiamo finito. Non posso più lavorare in queste condizioni».
Per chiarire ancora di più il concetto lancio il piegaciglia nella sua direzione senza manco sfiorarlo.
Fanna mi dà le spalle e solleva le mani in un gesto difensivo, quasi a voler chiudere la questione. «Ho capito, vorrà dire che con te finiremo domani».
Mi accorgo che tutta la troupe ci sta fissando.
«Per il momento lo spettacolo è finito, potete ritornare anche a farvi i cazzi vostri, grazie». Faccio un inchino e rientro nella roulotte. Non so perché ho fatto un’uscita così plateale ma ora è tardi, meglio non pensarci.
Riapro la pallina di coca, è vuota, proprio ora che ne avevo più bisogno. Impreco guardando il vuoto e accendo una sigaretta.