Una scontata presenza
Alla fine, la risposta giunse nel sonno. O, se vogliamo essere più precisi, un attimo dopo aver aperto gli occhi.
Quella notte Carlo Taleggi si svegliò di soprassalto, sentendosi osservato. Ore 04.16 del mattino, due cerchi luminescenti puntati addosso: di fronte a lui il suo gatto che lo fissava guardingo. Con la fronte imperlata e le palle sudate per colpa dell’afa lugliesca, e quella sfinge soriana di cinque chili e due lì ferma, paciosa e indolente da fare schifo. Ebbene, Carlo Taleggi di colpo s’irrigidì. Respiro bloccato in petto e gargarozzo atrofizzato.
Mancavano poche ore alla presentazione del progetto, aveva assoluto bisogno di dormire. Sicché, si alzò, prese la selezione in salsa con tacchino dal cassetto della cucina e ne spalmò un po’ nella ciotola vuota. Poco più in là, il sisal del tiragraffi che scoppiettava. Quel suono gli rammentò il principio di convivenza con quell’animale, gli incitamenti rivolti a utilizzare il palo per le unghie al posto del divano, e infine il tunnel, dove Lapo si addormentava quando ancora le dimensioni glielo permettevano. Ora ci si addentrava solo per un motivo, e Carlo Taleggi lo sapeva bene. Anzi, avrebbe scommesso che quella manovra lo divertiva, per via del tono dei suoi miagolii che era ormai in grado di decifrare; suoni acuti e ripetuti che esprimevano eccitazione e giubilo, nulla a che vedere coi lamenti lunghi e prolungati di quando incrociava il cane della vicina. Depose così la ciotola all’interno del tunnel, esattamente a metà, e rimase a guardare: Lapo doveva capire una volta per tutte il suo bisogno di sonno.
«Meriti una bella lezione», pensò, divertito.
Il muso scomparve nel passaggio, metà corpo fuori; poi, il verso di chi scopre la trappola. Ed ecco che Carlo Taleggi ebbe l’intuizione.
Perché non c’era arrivato prima? Un copywriter pubblicitario con la sua esperienza. Quel gatto gironzolava per casa sua da ben tredici anni, ma mai e poi mai aveva pensato a lui come a una papabile fonte di ispirazione, bensì a una scontata presenza destinata semplicemente ad esserci. Si lasciò strofinare la testa e leccare le nocche.
«Potrebbe funzionare», pensò, afferrando il pc lasciato a terra in ibernazione.
L’indomani salutò i suoi colleghi e si accomodò alla sua scrivania. Passò il tempo a guardarli revisionare i loro progetti fino all’ora della riunione, quando si diresse verso la sala centrale. Strinse la mano al capo Walter a capotavola e scelse un posto in seconda fila.
La prima a parlare fu Carmen, che sfornò il classico video di un minuto e mezzo con una colonna sonora stile I don’t want to wait, tant’è che, se per un attimo fosse apparso in camera James Van Der Beek, Carlo Taleggi non avrebbe trovato nulla di incoerente. A seguire, Mauro proiettò una roba psichedelica con uno slogan degno della miglior Megan Gale. Walter si grattò il capo, sintomo, questo, di scarso appagamento.
All’appello mancavano lui e il Tancredi. L’acerrimo rivale di un’intera vita professionale, che si notava lontano un chilometro che pure stavolta non vedeva l’ora di fargli le scarpe. Il Tancredi lo squadrò quel poco per intuire che da lui, almeno per quel giorno, non aveva nulla di cui preoccuparsi; sicché, spinto da una maggiore consapevolezza di sé, condusse l’intervento in maniera brillante.
Ora Walter guardava Carlo Taleggi dritto in faccia. Non come Lapo, ma con più smania. Così Carlo Taleggi si alzò, e, inserita la sua usb, attese che lo sfondo diventasse nero. Aveva provato il discorso per tutta la notte, eppure non disse nulla. In quell’istante, pensò al suo gatto: muto, ma efficace.
Pigiò sul telecomando e il pelo di Lapo fece irruzione sulla parete. Dapprima, rotolò nel salotto; un sorso d’acqua ed eccolo adagiarsi a mo’ di sfinge sopra il bracciolo del divano. Niente musica di sottofondo, solo il ronzio delle sue fusa. Finché il musetto non si sollevò, gli occhi in preda al fermento: il richiamo del tunnel, l’aroma del tacchino. Poi, il pelo inghiottito nel buco e il canto euforico che decretava il suo corpo incastonato. Infine, una scritta prese forma sotto il musetto che fissava la camera.
Lui ha 7 vite. Tu no.
Non prendertela comoda.
Taffo. Funeral Services.
Il tempo… stringe.
E subito, l’immagine di una bara.
Qualche secondo e il gatto rimase impresso sullo schermo, fisso. Ci fu una risata, e subito un’altra ancora, finché tutti non applaudirono; perfino il Tancredi sembrava farlo con convinzione. Walter mollò il caffè e si alzò per abbracciarlo.
«Geniale, Carlo, davvero geniale. Glielo giro in serata».
Carlo Taleggi ricambiò la stretta e sollevò il capo. Immaginò Lapo sfilare via dal tubo e, come al suo solito, buttarsi pancia a terra per richiamarlo al gioco; digerito il tranello, subito il bisogno d’amore. Un istinto di gratuità così distante dall’essere umano che Carlo Taleggi quasi si emozionò. Avrebbe voluto tornare a casa per accarezzarlo, per la prima volta in ufficio ne sentiva la mancanza.
Il tempo… stringe, lesse. E si incamminò verso il Tancredi per congratularsi con lui.