visibilia perri

Visibilia

Da qualche tempo la mia vista è peggiorata. Tutto mi appare più sfocato, non vi dico leggere. Dopo una visita ben accurata l’oculista mi ha prescritto le nuove lenti ed io sono andato a ritirarle con grande entusiasmo.
Li ho indossati, e ho notato che il mondo mi rimaneva uguale, sempre sfocato e confuso, allora ho detto che questo è il mio mondo, voglio dire, per uno che scrive la messa a fuoco è un processo interiore, così sono uscito e ho fatto un po’ di strada a piedi con questo mio mondo interiore e sono arrivato al centro della piazza: chissà se c’è il vecchio Amedeo, mi sono detto e ho visto l’ombra dell’aereo sulla chiesa romanica, i ragazzini che giocavano al pallone e due donne anziane nell’angolo che si parlavano, forse a gesti, forse in una lingua talmente terrena che sentivo le voci tremare sotto i piedi, mentre uno sparo, dalla campagna vicina, faceva esplodere uno stormo di piccioni.
Ebbene, per un attimo ho creduto che ogni immagine inquadrata fosse lì da millenni o fosse solo presunta e ho provato a vedermi dall’alto. Mi sono visto ed ero questo piccolo chiodo d’ombra senz’alcun movimento, un piccolo atomo senza nome o forse in cerca di un corpo disperso, accecato da un sole cocente. Forse ero dentro la lente del rosone, sopra le colonnette del pròtiro sul dorso di un leone che si tira dietro tutto.
Tolgo e rimetto gli occhiali ripetutamente, alla fine li chiudo nell’astuccio e mi siedo. Cosa vediamo realmente mi domando: l’oggetto in sé oppure l’infinita serie di rimandi che da esso emanano? Tutta la fantasia impregnata nel linguaggio che io adopero è davvero fantasia? Non sono reali quei leoni stilofori, come i bambini che corrono (a mezz’aria) e le donne anziane e l’aereo (dov’è?), e perché sentiamo il bisogno di chiudere in un mondo quell’immagine trascritta, trasognata, trascinata nel tempo? In questa piazza rivive il medioevo. Vi hanno commerciato, poetato, comminato condanne, espletato esecuzioni di morte, si sono sposati, vi sono cadute bombe, hanno fatto comizi, hanno abbattuto ali di edifici e hanno ricostruito, insegnato ad andare in bicicletta, si sono baciati per la prima volta, hanno portato bare, lasciato volare palloncini.
Ogni parola, ho pensato, sta nel suo cuore contenta perché sa che vi è una destinazione a cui è sottoposta; una legge per la quale all’improvviso, mentre qualcosa nel campo visivo evapora, per una serie di attriti indefinibili in lei s’accende ogni molecola di senso. E tutto ritorna. E il senso è esso stesso memoria e la memoria si espande a misura del suo più profondo fuoco. E allora eccolo il fuoco, il focus che spicca sull’oggetto, nell’occhio, più giù e dentro nel buio vascolare e chiede di esser mescolato, tradotto, versato nella parola che si apre splendendo per sempre. Rem tene verba sequentur, recita l’antica locuzione. Devi possedere l’argomento fino ad esser tu stesso la ragione del dire, le parole seguiranno di necessità, saranno tue figlie, immagini del sogno non importa, reali, realissime come le cose invisibili. Ecco Perché ho capito che vederci chiaro è ‘sentire’, capire il senso delle cose e attribuire loro un nome, toccarne l’esatta radice, tenere chiusa negli occhi una composizione di rimandi e lasciare che un giorno un gioco di figure si narri da sola. Ecco perché ho capito che tutto è narrazione, continuo di legami inesplorati e forse irresoluti, fino al più intimo ordegno, suo alto sigillo, sua nudità suprema.
Sul selciato i piccioni si sono ricomposti. Camminano come prelati, frugano negli spacchi tra i sampietrini. Amedeo li guarda dalla sua bottega, lancia qualche mollica di comunione e se ne torna dentro alla solita sedia. Porta gli occhiali sulla fronte, una fronte rigata come un quaderno. Mi sembra contento, o forse lo sono io. Ci sono. Entro.