La luce dell’utopia per redimere il naufragio di vivere: White Light di Davide Catinari

Vivere è naufragare, si può annegare irrimediabilmente o tentare di salvarsi, raggiungendo un approdo oltre la linea dell’orizzonte visibile. Abbandonate le sclerotizzate certezze borghesi, resta la ricerca dell’intensità, l’accelerazione spasmodica verso l’autenticità, la parabola fuori dall’elissi direzionata verso lo schianto. Vi sono vite che deviano dalla traiettoria rassicurante e mummificata della consuetudine sociale, per ribellione, per istinto, per la ricerca di un senso più profondo delle cose, esistenze che si dimenano nel male oscuro delle domande e delle esplorazioni ai margini, che per un destino ineludibile finiscono per frantumarsi proprio per non essersi arrese, fuochi fatui che scelgono di immolare se stessi anziché spegnersi lentamente nella mediocrità narcotizzata. Ci sono umani che portano dentro la propria dannazione, anime radicali impossibilitate al compromesso e alla medietà, che attraversate dall’anelito indecifrabile all’assoluto sono, proprio per questo, destinate a perire. Scontano la brama di illimitato, banalmente detta felicità, con il dolore.
White Light (Camena edizioni, 2022), il libro di esordio di Davide Catinari1, è una ricognizione sulla deriva e sull’angoscia esistenziale di coloro che hanno rifiutato la recita funesta del conformismo, che hanno inseguito l’altrove forzando i limiti asfittici del nichilismo post-borghese, che a un surrogato di vita hanno preferito l’autodistruzione. Periscono i maledetti, gli scarti e i marginali per eccesso di purezza, travolti dalle feroci dinamiche dell’ipocrisia moderna e dai propri diavoli interiori.
“Un musicista ex tossicomane viene assunto a tempo determinato come sostituto di un farista misteriosamente scomparso, secondo un programma per il reinserimento successivo alla riabilitazione. (…) Quella che sembra un’occasione per sopravvivere al suo passato, si trasforma in una compulsiva ossessione per il precedente occupante del faro, in seguito al ritrovamento di una cartella contenente appunti abbandonata dal misterioso autore, (…) favorita dalla fascinazione per i bagni di luce bianca che scandiscono le notti sull’isola”.
Il musicista senza nome, in cui si avverte un’eco autobiografica dell’autore, personaggio “storico” dell’underground italiano e fondatore dei leggendari Dorian Gray, dimesso da una comunità di recupero per tossicodipendenti, cerca una possibilità di riabilitazione sociale e una redenzione dai fantasmi della propria vita, deragliata contro fallimenti esistenziali e relazionali. La permanenza per tre settimane su uno spuntone di isola, come guardiano di un faro isolato in mezzo al mare, rappresenta un esilio volontario per recuperare le fila della propria esistenza. Un incontro imprevisto, degli enigmatici manoscritti, dirotterà la vicenda su traiettorie inattese.
Nelle sue giornate isolate, il musicista sagoma la sua permanenza al faro sul silenzio, sui ricordi, sulle letture della raccolta fantasmatica, alternando epifanie esistenziali, autocoscienza e viaggi mentali, corroborato da una robusta scorta di sostanze psicotrope, introdotte furtivamente sullo scoglio; raggiungendo la sera la stanza del faro dove si “immerge” nella luce psichedelica e straniante.
La narrazione di taglio apparentemente realistico si dilata in una dimensione lisergica, amalgamando il dato fisico con le percezioni alterate del protagonista, fondendo lo spazio geografico con il vagabondaggio mentale, di cui il faro e i bit di luce sono le pulsazioni dell’allucinazione. L’isola e il faro sono metafore dell’isolamento dell’individuo durante il suo attraversamento dell’esistenza, ma anche simbolo dell’esclusione e dell’espulsione forzata dall’alienazione di un mondo fasullo e spietato. Vi è difatti nel romanzo una larvata nota politica: il musicista viene sorvegliato perpetuamente dalle telecamere di una indecifrabile Marina militare. L’agenzia che gli ha proposto il “lavoro”, insieme alle Autorità istituzionali di cui è una protesi, ha i caratteri orwelliani del controllo e del sistema, impercettibile e ferreo, di potere. Il musicista tossico è l’emblema del soggetto irregolare, difforme, eretico ai dettami sociali, su cui si abbatte la pressione del potere e la colpa di essere fuori dal coro seriale dei “normali”. Quale è la reale colpa del musicista, essere un ex tossico-dipendente? Oppure di non essersi fatto inquadrare dentro agli schemi rigidi della società della produzione capitalistica, in cui anche gli umani sono funzioni e merci? Aver cercato ostinatamente di conservare la libertà anche a costo dell’autodistruzione? Allo stesso modo delle figure del libro che lo risucchia in altre vite perdute e dannate, personaggi che vengono da altre epoche e altri luoghi a sigillare la lunga catena dei perdenti e dei disperati di ogni tempo. Il protagonista subisce la malia del libro poiché egli ne è un ideale personaggio, un sodale nel dolore, un altro vinto della storia, che ha schiantato se stesso alla ricerca di un assoluto impossibile.
La “white light”, non è solo un rimando al feticcio Lou Reed, altra anima inquieta e libertaria, ma anche una allegoria di una agognata salvezza, di un mondo utopico e riappacificato, liberato dalle gabbie soffocanti degli obblighi sociali e dell’individualità egoistica; la luce bianca è un orizzonte di oltrepassamento, di liberazione, che tuttavia diventa caduta, spaesamento, solitudine irredimibile.
Lo stile del romanzo è assolutamente aderente alla narrazione di uno straniamento, di un deragliamento individuale che incarna una sconfitta universale; Catinari scrive un’opera rock in frasi, affrancandosi dall’assillo della logica, crea un itinerario letterario fluviale, attraverso una prosa a tratti lirica, a tratti meditativa o onirica. Dentro al corpo denso della scrittura, emergono cocci acuminati e taglienti, che affondano la loro genesi nel dolore e negli interrogativi. La narrazione, più che il flusso di coscienza, ricorda la prosa acida di Burroughs, dove la realtà si trasfigura nelle proiezioni mentali e nelle percezioni interiori.
La parte finale del libro traccia in poche pagine le vite dei personaggi incontrati nel testo misterioso ritrovato nel faro, la scrittura si fa più sommessa, rallenta in un registro maggiormente descrittivo, attraverso cui Catinari, con brevi e intense colate di colore, da graffitista urbano, illustra l’ascesa e la catastrofe di meteore umane. L’autore, nel cambio di ritmo narrativo, mostra un grande talento da scrittore nel sondare i fondali oscuri del mondo e delle coscienze, annodati da una corrispondenza di desiderio e di annientamento, dove la tensione alla luce abbagliante contiene intrinsecamente un’ombra di fatale dolore.


1 Davide Catinari è musicista, autore, fondatore dei Dorian Gray (1989) con cui ha pubblicato sette album e suonato sui palchi di mezzo mondo (dalla Cina al Canada); scrive di musica per Linus, dirige Vox day e si definisce un “terrorista emozionale”. White light è il suo romanzo d’esordio.