La scarpetta
Non si può mai abbassare la guardia. Per questo lascio sempre qualcosa nel piatto. Le briciole, per esempio, rimangono dove sono. La scarpetta, abbandonata nel piatto, non troverà la mia bocca.
L’asticella nella pancia dice: pieno. Durerà poco, massimo un paio d’ore. Devo darmi da fare, prima che torni a farsi sentire. Nel lavello, ad esempio, lascio sempre un po’ di piatti. Se le cose rimangono, mi lasciano in pace. Non si può mai abbassare la guardia.
La verità è che non è mai abbastanza: non si è mai sazi davvero. Dopo qualche ora, per quanto mangiato, si mangerà di nuovo. Non si può arginare la voragine.
E pensare che da piccola non avevo mai fame. Da piccola non avevo bisogno di pensarci: non ne avevo bisogno, di lei. Infatti, non c’era.
Ora è diverso. Se non ci fosse sarei perduta. Se non ci fosse non uscirei di casa, non oserei guardare in faccia le altre persone. È una sensazione di potenza, è una lama a doppio taglio.
La sensazione di pienezza rimbomba nel vuoto. Il vaticinio, è sempre lo stesso: guardo allo specchio e vedo una bocca. Enorme, rossa, carnosa, divora tutto. Ha divorato sé stessa, ma non è ancora abbastanza. Non ha parole, la bocca è una bocca, non è Cenerentola. La bocca non pensa, la bocca mangia. La bocca prende. La bocca riempie. La bocca è imbuto, la bocca è un buco, un buco infinito, come la cannuccia, problema irrisolto. La bocca è un problema. La bocca immette, non è come il culo. Il culo emette. Se la bocca fosse un culo, non avremmo problemi.
Per questo motivo ho bisogno di lei. Lei mi dice: abbastanza. Lei mi dice: di più. Lei mi dice: ti odio. Lei mi dice: distruggi. Lei mi dice: mangia, idiota, non vedi che è buono? Lei mi dice: stronza, quello no.
Lei dice, io faccio. Ci troviamo bene così, io non so decidere. Io so che lei ha ragione, per questo faccio quello che vuole, anche se noto altre cose. Ad esempio, a me piacerebbe lavare i piatti dopo mangiato, come i giapponesi, che finiscono tutto quello che fanno, fino all’ultima briciola. Ma lei lo sa e mi dice: è da pappamolla. Se avessi un marito, li farebbe lui i piatti. Vuoi essere una casalinga? Lasciali in pace, i piatti, dice. Devono fare numero. Devono ricordarmi che ho mangiato.
Luridi i piatti, perché lurido è il cibo.
Solo la bocca pulisce. La bocca purifica, la bocca toglie, divora, la bocca santifica, per questo non mi farà mai morire di fame. Ma devo sapere – la fame è un’arma a doppio taglio – bisogna sapere cos’è. Solo se conosci la fame puoi coltivarla. Per questo devono rimanere i piatti nel lavello. La voragine va coltivata giorno per giorno.
La mia Cenerentola non ha bisogno della scarpetta: la mia cenerentola è tosta e puttana e va scalza, la mia cenerentola è figlia di puttana e ha il dito medio ficcato in gola.
Guardo la bocca. È rosea, è bella, sanguigna. Il dito tocca duro, in fondo.
Io lo so perché Crono divora i suoi figli. Aveva fame.
Se avessi dei figli, li mangerei anch’io.