L’arcolaio, il tempo ritrovato

Sussulti e gemiti nel cuore veleggiano, 
quando ritornano alla mente 
gli antichi riti della filiera della lana. 

Ruotavano, spinte da una manovella, 
le sottili e uniformi stecche di legno dell’arcolaio. 

Intorno al fuoco sfavillante 
di un braciere acceso 
e tizzoni ardenti da far venire geloni 
alle mani e pure ai piedi 
nei freddi inverni, stavamo. 

Si svolgevano matasse di lana 
ancora rozzamente lavorata durante la stesa 
quando tutta la strada si metteva in festa.

Al ritmo di una manovella che,
come raccomandava la nonna,
a turno facevamo ruotare, lenta,
noi ancora fanciulli,
l’arcolaio ruotava
e il fuso, sotto il gesto roteante della mano,
torceva le fibre.
Dovevamo imparare anche a filare la lana.

Matasse che intorno al torcere del fuso
diventavano gomitoli,
che ai lunghi ferri delle madri
mutavano in maglie di lana pungente,
da indossare fino alla fiera di maggio,
quando tornavano le margherite bianche e gialle
e le rondini a volare, planando basse 
e gli arcobaleni allontanavano le malinconie.

Ed erano voci di vita nuova
che si intrecciavano con la natura
e presto sarebbe tornato il canto delle cicale.