Bestiario del sogno di Franco Santucci: recensione del libro

«Ora la maggior parte della gente, dai sogni, attende essenzialmente due cose: il disvelarsi di un sé nascosto o un presunto contatto col soprannaturale. Io, probabilmente, cerco di acchiappare nuovamente quei pranzi infiniti, sfumati nella diaspora del tempo e delle nostre vite o, magari, farmi confermare l’incredibile ovvietà di andare a morire nel luogo dove si è cresciuti».
Si legge così, nel racconto “La leggenda”, e forse è da questo punto che occorre partire, per parlare di un libro le cui ambientazioni sono elemento fondamentale per addentrarsi nelle storie che lo compongono. Distese lacustri e stanze vuote, foreste rigogliose e case spoglie, le segrete di un castello buie come strade in cui risuonano echi di spari e le radure illuminate da un sole che non riesce a coprire il rumore delle spade maneggiate da soldati in lotta fra loro fanno da sfondo al multiforme Bestiario del sogno, il brillante esordio di Franco Santucci, parte della collana “Orso bruno” edita dalla casa editrice Wojtek edizioni.
Figli del sogno quanto della visione, gli spazi letterari ritratti nel libro si ritrovano sul labile confine che separa il presente dal ricordo, incastrati in una dimensione in cui questi ultimi si annullano per riconsegnare la costante che li accomuna: il senso di vuoto – un vuoto pieno, come scrisse Calvino in Collezione di sabbia – di cui si permeano, il quale altro non è che una proiezione dello sguardo dei protagonisti sulla loro realtà.
Il tempo della narrazione è un tempo indefinito, che dialoga con una voce narrante quasi sempre in prima persona, per parlare di quotidianità assediate da un contorno che tesse le trame di storie di amori che volgono al termine, difficili o finiti, legami familiari ora confinati nella regione del ricordo, infine peregrinazioni in luoghi lontani, labirinti naturali in cui i personaggi si riscoprono piccoli e senza difese.
Attraverso di loro, l’autore recupera un punto di vista in grado di trascendere la stessa cornice delle sedici storie e di accogliere in Bestiario del sogno temi contemporanei, attuali, quali il dominio della macchina e l’ineffabilità dei legami amorosi, due facce della stessa medaglia su cui sopra vi è incisa l’immagine di un’esperienza umana schiacciata da un esterno che ha preso il sopravvento, che va troppo veloce e dove rischia di perdere il suo posto, mentre si ritrova alle prese con i suoi esperimenti che ambiscono all’unico obiettivo impossibile, ossia dominarlo, il tempo, dunque finisce per collezionare attimi colti, ma mai davvero vissuti, poi irraggiungibili, per i quali si può tentare di suddividere i testi in due macrogruppi.
Nel primo, ci sono quei racconti che colpiscono per la semplicità e la delicatezza con cui la penna si perde nella descrizione di immagini, tra le quali sussiste una singolare armonia, per cui non hanno bisogno di particolari artifici, come “Poiane”; nel secondo quelli che sembrano aspirare a un (riuscito) auto superamento, come “Matricola BC01”; ognuno di essi passato sotto la lente della letteratura fantastica, i cui mezzi si rivelano perfettamente in grado di restituire concretezza sia alle circostanze sopramenzionate, sia al senso di smarrimento che da esse deriva; di contro vi è una scrittura che disegna percorsi a matita, per raggiungere l’insondabile, rapida e sottile – continuava Calvino, in Collezione di sabbia – a dissolvere quel vuoto, creando una dimensione in cui ci si confronta con un altro e fondamentale topos al quale quello del sogno e della visione si accompagnano: l’incontro tra essere umano e animale.
È un qualcosa che la letteratura, in varie sfumature, ha frequentemente visitato. Eppur non si è, in Bestiario del sogno, di fronte all’ennesimo cliché narrativo dell’allegoria, ancor peggio al tentativo di antropizzare le creature il cui percorso si intreccia con quello dei protagonisti. Al contrario, gli animali si rivestono di una simbologia propria; cani, gatti, poi rapaci e felini; prestata alla narrazione, la loro presenza riesce ad essere rivelatoria: sono loro, come suggerisce l’ultimo racconto della raccolta, ad avvicinarsi ai personaggi: sono i loro animali domestici, atterrano sulle ringhiere dei loro balconi, sono sguardi predatori che si posano inconsapevoli sulle fini che stravolgono le vite di chi abita sotto il loro cielo; sono ciò che gli permette di osservarsi dall’esterno, per confrontarsi con un qualcosa che – insieme all’evasività del tempo – fanno fatica ad accettare, poiché incontradicibile, impossibile da cambiare o venirle meno – e si scorge in maniera più evidente in quello che è forse il racconto di più alta qualità letteraria, all’interno della raccolta, “La malattia del falco” – ossia la natura delle cose, a preannunciare sorti scritte in partenza.
Il punto è che si riduce tutto alle possibilità: se ne coglie una e se ne perdono milioni, per sempre, e la consapevolezza dell’irripetibilità del reale è alla base di quel dispiacere che fa da filo conduttore e da cui origina quel soffocato grido umano di dolore, nostalgia e perdita che tra le pagine di Bestiario del sogno risuona urgente e arriva a rimuovere strati di moltitudine, per lasciare chi legge da solo, di fronte a quei personaggi che rivelano l’abilità di un autore di affiancare, al dinamismo dei suoi scenari, l’intelligenza emotiva di confrontarsi e non temere di inglobare, senza retorica alcuna, la fragilità e la fallibilità propriamente umane, aspetto che per una letteratura ossessionata dall’erudizione e dalla complessità resta ancora la sfida più difficile.