Déjà-vu

Passiamo e ripassiamo sulle nostre
vecchie orme come pattinatori artistici e
proprio mentre leggevo un nuovo
manoscritto un fortissimo déjà vu mi è
penetrato nelle ossa! Ero già stato qui,
un’altra vita fa.
(Jim Broadbent in Cloud Atlas, 2012)

Una profonda quiete avvolse il suo
essere e, con quella, un senso del
passato, un’esperienza come di déjà-vu:
era lì ma non era lì, era qui e anche là,
era un bambino che giocava e un uomo
in guerra e la terza cosa che era diventato.
(Justin Cronin, I Dodici, 2012)

Il déjà-vu come contrattempo fra realtà e fenomeno.
(Carlo Dante, Minime pervenute, 2010)

Finalmente qualche giorno di vacanza. Per il secondo anno consecutivo avevamo deciso di trascorrere le vacanze in uno chalet sulla costa adriatica, vista l’ottima esperienza dell’anno precedente. Il rumore di Roma era stato sostituito dal frinire delle cicale. Il traffico imperante di giorno e di notte era al di là dei monti e il silenzio notturno, accarezzato solo dal rumore del mare, consentiva un sonno profondo e ristoratore. Al mattino mi svegliavo con la giornata già distesa davanti a me, scandita da leggere, uniformi, rassicuranti routine quotidiane. Finché si è immersi nel caos generato dalla vita cittadina siamo oberati da mille impegni, assediati da persone che richiedono qualcosa da noi e da problemi burocratici, mentre non appena ce ne allontaniamo, tutto questo sembra scomparire, le tensioni si allentano, si ritrova una serenità che ristora e rinfresca l’anima. I problemi possono aspettare, diciamo a noi stessi, e ci riappropriamo, almeno per un po’, del tempo che è nostro. La mente si libera dei fardelli, ed è proprio in questi momenti che diventiamo veramente coscienti di noi stessi e della realtà.
Mia moglie e mio figlio, più dinamici di me e più amanti del mare, godevano appieno dei bagni di sole e di sabbia e delle immersioni rinfrescanti. Io preferivo lunghe passeggiate sulla battigia o nei sentieri che si snodavano nei boschetti a fianco del torrente che si gettava nel mare a poche centinaia di metri dal nostro chalet. Mi faceva compagnia il mio cane, una piccola, deliziosa meticcia.
Quel giorno faceva molto caldo. Nonostante fossero ancora solo le nove del mattino, l’aria era già pesante anche per l’elevata umidità. Presi per il sentiero che costeggiava il torrente, con l’idea di raggiungere un tratto che sapevo essere ombroso e fresco. Vi giunsi. Camminavo tra i due filari di alberi che, insieme alla macchia di arbusti che si stendeva ai lati, delimitavano il sentiero. I loro rami frondosi si incontravano in alto dando l’impressione di camminare in una galleria appena infiltrata da qualche raggio di sole qua e là. Ad una distanza di tre, quattrocento metri, si apriva una spiaggetta, al di là della quale si stendeva la striscia blu del mare e, in lontananza, si vedeva qualche piccola barca a vela. L’effetto combinato della bellezza della vista e del fresco creava un’atmosfera piacevolissima. Il paesaggio che vedevo mi ricordava i disegni che facevo da bambino, alla scuola elementare. Mi immersi in quel ricordo, stavo rivedendo nella mia mente quei disegni, mare, barche, il sole che sorge.
Poi, tutto si fermò. La mia mente si era bloccata, entrata in un silenzio che non avevo mai provato prima. Il dialogo che normalmente intratteniamo con noi stessi si era fermato, la paralisi dei pensieri era totale.
Anche il tempo si era fermato insieme ai pensieri e l’intera immagine che si rifletteva nei miei occhi, nella mia mente fu un disegno, anzi un quadro, un quadro che conoscevo, che certamente avevo visto da qualche altra parte, in qualche altra occasione della mia vita. La cosa più strana era che io stesso e il mio cane eravamo parte del disegno. Mi vedevo di spalle, la figura appena tratteggiata come le persone riprese in lontananza nei quadri di Monet, immerse nella natura, il mio cane al mio fianco tenuto al guinzaglio, tutti e due in contemplazione del paesaggio. Dopo un tempo che mi parve lunghissimo un pensiero, fulmineo, mi attraversò di nuovo la mente: avevo già vissuto un momento così … si trattava della ripetizione di un qualche evento della mia vita passata. Il flusso dei pensieri aveva ripreso a scorrere. Pensai al fenomeno del déjà-vu. Non avevo alcuna competenza in psicologia, ma ne avevo sentito parlare e avevo letto qualche articolo divulgativo sull’argomento. Si tratta di falsi ricordi, indotti dalla somiglianza di qualche elemento fra quelli che i nostri sensi stanno percependo. Un tocco gentile sulla spalla mi fece rendere conto che stavo rimuginando i miei pensieri raggomitolato su me stesso seduto in terra. Un viso gentile di donna mi guardava: “Signore, sta bene?”. Mi affrettai a rispondere che sì, stavo bene. Il mio cane, sdraiato accanto a me, mi guardava. Mi alzai e ringraziai. La donna mi sorrise di nuovo, agitò la mano in segno di saluto e si allontanò. Anche io mi riavviai lungo il sentiero, ma non ero tranquillo. Sentivo che quanto era accaduto doveva avere un significato speciale. Non riuscivo ad archiviarlo semplicemente come un déjà-vu. Decisi di non parlarne con nessuno, neanche con mia moglie.
A ferie terminate, tornai alla vita quotidiana e ai caotici, pressanti ritmi del lavoro e della città, che mi ingoiarono completamente. Il ricordo di quanto era successo sembrava ormai scomparso dalla mia mente. Non era così.
Ero in visita ad una mostra di quadri, quando il ricordo riaffiorò ammirando un paesaggio impressionista. La scena mi apparve identica a quella che stavo percependo nel mio déjà-vu. Gli elementi non erano ovviamente identici, le barche a vela non erano proprio esattamente gli stessi, ma la percezione complessiva era talmente rappresentativa della stessa realtà che non feci distinzione: per me era la stessa scena. Sfuggii con un guizzo mentale dal silenzio interno che mi stava assalendo, mi voltai ed uscii rapidamente dalla sala. Mentre mi dirigevo in macchina verso casa, la parola “realtà” continuava a emergere con continuità. “Stessa realtà” continuavo a ripetermi. Ero molto scosso, ma non lo detti a vedere a mia moglie e mio figlio. Finalmente fu l’ora di dormire. Il sonno mi avrebbe tranquillizzato e la mattinata piena di impegni che mi attendeva dopo il risveglio mi avrebbe assorbito a sufficienza da farmi dimenticare quell’ossessivo ripetersi di quelle due parole. Mi addormentai quasi subito, ma invece di dimenticare, sognai l’intero déjà-vu che avevo vissuto nel periodo di ferie. Mi accorsi che si trattava di un sogno solo al risveglio, perché durante il sonno era esattamente come se stessi di nuovo vivendo l’intera scena, con estrema chiarezza dei particolari, fino alla sensazione di essere immerso nel quadro ed al tocco e poi al saluto della donna che mi chiedeva se stessi bene. Non sapevo come interpretare tutto questo. Quel giorno non andai al lavoro. Chiamai un mio amico psicologo che mi fissò un appuntamento per la sera stessa. La sua interpretazione fu di tipo scientifico, ovviamente. Per lui si trattava di un evento psicotico da tenere sotto controllo. Il déjà-vu è un evento abbastanza normale anche nelle persone sane di mente, ma l’immersività, la nitidezza, la forza, la permanenza del ricordo ed il suo riemergere nei sogni non gli sembravano affatto normali. Mi consigliò un ciclo di psicoterapia e un po’ di riposo dal lavoro. Lo salutai ringraziandolo, ma non ero per nulla convinto della sua interpretazione. Una serie di domande mi assillavano, di natura completamente diversa dalle ipotesi scientifiche. Mi domandavo cosa, nella sostanza più intima, era la realtà. La percezione alterata avuta su quel sentiero era reale oppure no? La realtà era quella che percepivo un istante prima del déjà-vu oppure il quadro immobile di cui io ero parte? Era realtà quello che avevo percepito durante il sogno e sogno quello che stavo percependo dopo il risveglio o viceversa? Come possiamo distinguere ciò che è sogno e ciò che è realtà? Mi venne in mente la spiegazione di Cartesio, “Cogito ergo sum”, che mi apparve solo come un tentativo forzato di dare un senso allo sviluppo successivo della sua filosofia, che senza un “principio di realtà” a cui appigliarsi, sarebbe stata una speculazione senza senso. Se io fossi stato una monade, unica forma vivente, anzi meglio solo “pensante”, sospesa in uno spazio infinito e vuoto e stessi sognando tutta la mia vita, perfino anche la mia morte, come potrei distinguere il mio atto del sognare da un mondo reale composto di esseri umani, animali, oggetti e avvenimenti diversi. Non potrei. Ne conclusi che non esiste un principio che ci assicuri che ciò che percepiamo è quello che definiamo “realtà”. E quello che facciamo? Le nostre azioni e le loro conseguenze sono reali? Da quel giorno la mia vita cambiò, tutti i principi a cui ero stato educato ed in cui credevo crollarono. Seppi di non avere più una direzione da seguire per fare le mie scelte di vita. Tutto sembrò sprofondare. Nessuna azione, fatta da me o da altri, aveva più veramente importanza per me.
Certo … continuai a vivere, ma senza alcun coinvolgimento. Mi sentivo separato, isolato dal mondo e dagli avvenimenti e non ero interessato al risultato delle mie e altrui attività. Vivevo la mia vita lavorativa come sempre e la mia vita in famiglia non era affatto cambiata. Come al solito mi impegnavo per ottenere sempre il miglior risultato ma non mi interessava veramente raggiungerlo e il mio stato d’animo rimaneva lo stesso sia se le cose andavano bene sia, al contrario, se andavano male. In ogni caso c’era una parte di me che non partecipava all’azione. Ero io stesso che, semplicemente, osservavo. Prendevo nota, come uno che assiste alla scena dal di fuori. A pensarci bene, era esattamente come nel déjà-vu. Come in quel momento guardavo il quadro di ciò che stava accadendo, e nel quadro c’ero anche io. Ebbi qualche dubbio, ma oggi so che non sono impazzito. È accaduto soltanto che una parte di me è divenuta cosciente e si è imposta. È un testimone, semplicemente. Questa stessa parte, oggi, osservando la mia vita, si chiede se questo cambiamento, così silenziosamente drastico, violento, abbia portato felicità. Non saprei. Anzi, direi di no. La felicità è un concetto difficile da definire e spesso si confonde con l’eccitazione per qualcosa di positivo che è accaduto. La felicità non è una emozione durevole, è uno stato impermanente. Piuttosto ciò che è giunto nella mia vita è uno stato di serenità e calma. Una serenità che non viene scossa dal procedere degli eventi.
Oggi il mio cane, quello del quadro, dopo essermi stato compagno ed amico fedele per quattordici anni è morto. Piango per lui, ma intanto mi osservo e sono pienamente cosciente che la sua vita, come tutte le vite, è confluita in un fiume più grande dal quale riemergerà sotto altre forme e sostanze. Mi sembra di vedere la sua vita trasformata in tante stelline luminose che entrano in un fiume di luce. Sono comunque sereno. Penso a Buddha, alla sua illuminazione, e mi domando se non si fosse trattato di un déjà-vu.