Mai troppo azzurro
Lo ha appoggiato sul tavolino. Copertina lanuginosa.
Ivana afferra l’album. Sotto i polpastrelli, sfarina un rosa chimico anni Settanta.
La carta velina crocchia e scopre corpi e paesaggi dai colori atomici. Esplosivi.
Sfoglia via rapida le torte bianche, gli abeti di plastica e i borghi collinari. Si sofferma sulle foto del mare. Sugli occhi azzurri del marito e sulla striscia di Ionio sul fondo. Sua figlia è china sulla sabbia con i braccioli ai gomiti e i capelli bagnati. Pomeriggi mai troppo azzurri. E lunghi.
Un giorno, al ritorno dal liceo, Francesca le aveva detto: «Tu lo sapevi, mamma? Sapevi che un fenomeno può essere due cose diverse nello stesso tempo?»
«Che vuoi dire?»
«L’ha spiegato il prof. È un paradosso della fisica. Se metti un gatto dentro una scatola, e lo lasci lì dentro per un po’, il gatto può essere sia vivo sia morto. Finché non apri la scatola, per te sono vere entrambe le cose».
Ivana aveva scosso la testa e mosso le labbra senza parlare. Da molto tempo aveva scelto di tenere alcune scatole chiuse. Non c’è menzogna finché non c’è verità. Lo spazio fra l’una è l’altra non è mai troppo azzurro.
Curva sull’album di famiglia, fa scorrere il palmo sul volto di Alfonso e sullo sfondo marino. Che cosa contava il resto? Il letto vuoto fino a tarda notte nei lunghi mesi freddi? O i silenzi ostinati durante i pranzi domenicali? L’estate tornava sempre. Tornavano gli occhi ancora più chiari sul viso abbronzato di Alfonso.
In vacanza c’erano soltanto loro. Ivana, distesa per ore sul telo mare, e Francesca stretta a un innaffiatoio di plastica giallo. Delle altre donne non c’era traccia. Quasi non fossero mai esistite.
Di colpo Ivana chiude l’album con un tonfo secco. Lo risistema e va a guardarsi allo specchio. Ha i capelli soffici dei trent’anni.
Dopo aver indossato un cardigan, esce sul pianerottolo e suona alla vicina. A quell’ora del pomeriggio, Eli è sempre in casa. Da quando Francesca si è trasferita, va a trovarla spesso. I vecchi devono frequentare i coetanei dei propri figli. Per non perdere il passo, crede. In realtà vorrebbe che Francesca somigliasse a Eli. Che fosse meno simile al padre e alla sua parte più invernale e sfuggente.
Eli spalanca la porta e l’abbraccia. Scioglie la stretta e le dà un bacio sulla guancia. Ha gli occhi arrossati.
«Ma che succede?»
«Non è niente, dai entra che ti spiego». Afferra Ivana per una mano e la trascina in salotto. Ha le dita fredde e un lieve affanno.
«Siediti, vado a preparare il caffè». Si soffia il naso con un fazzoletto di carta.
«Sei sicura di star bene?»
Eli annuisce e spazza l’aria con la mano. «Non preoccuparti, ho fatto una cosa che rimandavo da tempo. Arrivo».
Ivana studia la schiena ampia della vicina. Il maglione da pescatore e i lunghi capelli lisci che le coprono le spalle.
La sente armeggiare in cucina con la caffettiera.
Per rilassarsi sfrega le mani sulle cosce e si guarda intorno. Lo sguardo le si posa su un oggetto che non aveva mai visto prima. Un vaso globulare azzurro. Non troppo azzurro, e lungo. È vuoto. Né opaco, né lucido. Non ha mai visto un colore così pastoso. Totale.
Ivana lo fissa con gli occhi sgranati. La forma e il colore le ricordano il mare. Gli occhi di Alfonso. Le canzoni dei crooner nel chiosco sulla spiaggia. Lo sciabordio e la risacca. E ancora Francesca che ride, senza smettere mai. Quel colore che vorrebbe dentro di sé per sempre. L’estate tutto l’anno.
«Eccomi. Oh! Lo hai notato, vedo».
Eli appoggia il vassoio sul tavolino di vetro e con il mento le indica il vaso accanto.
Ivana chiude le mani a pugno e si obbliga a ruotare il capo.
«È il vaso più bello che abbia mai visto».
«È solo una vecchia imitazione». Le porge una tazzina bollente. «Però è bello e ha un valore affettivo. Finalmente sono andata a casa di mamma e l’ho preso. Era ora di smantellare».
Ivana abbassa il capo. Sorseggia il caffè bollente ed esamina il vaso per tutto il tempo della chiacchierata. Le parole di Eli sono un brusio di sottofondo. I suoi sfoghi, circa il rapporto irrisolto con la madre, si ripetono da mesi. Eppure, lo sa, non è questo il punto. La voce cantilenante della vicina non c’entra. Dopo qualche lagna, Eli torna a essere quella di sempre. Luccichio negli occhi, mani che stringono le sue e discorsi pieni di progetti futuri.
Il vaso l’ha risucchiata. La sua sagoma azzurra si riflette compatta sotto il collo largo. Prova un gran senso di pace. Come fosse ancora sdraiata sul telo e le voci di Francesca e Alfonso scalzassero via quella di Eli.
Da quel giorno, Ivana va a trovare la vicina ogni pomeriggio. Finge di ascoltarla e non toglie mai gli occhi dal vaso. Non c’è solo il mare, in quella sintesi di luce e forma. C’è un tempo sottratto al tempo. Il gatto vivo nella scatola chiusa. L’intervallo. La pausa. Un momento perfetto. Il solo che abbia mai vissuto.
Un pomeriggio, Eli smette di parlarle a un tratto e le scuote una spalla. «Qualcosa non va? È da un po’ che sei con la testa da qualche altra parte».
Ivana scuote il capo e indica il vaso. «Mi ricorda il mare. Prima che io e Alfonso ci separassimo, ci andavano sempre in estate».
Eli le prende una mano. «Se preferisci, lo metto in un’altra stanza».
«No, sono ricordi belli. E a proposito, sai se esistono altri esemplari?»
Eli si stringe nelle spalle. «Purtroppo, che io sappia, è rimasto quest’unico pezzo. Credo sia un’imitazione. Però hai ragione, fa pensare all’estate».
Ivana annuisce. Il tono della vicina le fa prudere le mani.
Nei giorni che seguono non fa che pensare al vaso. Le chiacchiere di Eli l’annoiano. L’ascolta abbozzando un sorriso forzato. Le interessa soltanto il vaso. Lo fissa il più a lungo possibile, anche a costo di sorbirsi per ore le scemenze di quella donnetta instabile.
Una mattina telefona alla figlia che abita a Mestre con il marito.
«Ti do un compito. Vai a Murano e cerca un vaso come questo. Non importa il prezzo». Le manda la foto sul cellulare. L’ha scattata qualche giorno prima, mentre Eli preparava il caffè.
Dopo un lungo silenzio, Francesca ribatte: «Per il tuo compleanno, immagino».
«Non preoccuparti. Alle spese penso io. Ti mando il bonifico istantaneo non appena lo trovi».
Francesca sospira. «Mamma, non è detto che trovi un vaso identico a questo. Si vede che è una vecchia manifattura».
Ivana sbotta: «Possibile che non possa mai chiederti un favore?»
«Ti ho solo avvertito, cazzo! Non puoi mica reagire così. Hai settant’anni, non cinque!»
Francesca chiude la comunicazione. Ivana si morde il labbro e digita un messaggio rapido: Scusami tanto, Franci. Quel vaso mi ricorda quando eravamo felici.
La risposta arriva dopo qualche minuto. Non importa, proverò a cercarlo.
Durante tutti i fine settimana, Ivana frequenta i mercatini locali. Borghi montuosi, piazze incastonate fra le colline. Portici bassi color mattone.
Si spinge fino in Liguria. L’aria salmastra la rende inquieta. Il vaso potrebbe sbucare fra bancarelle sommerse dalla penombra dei budelli. Una bolla di mare. Azzurra. Mai troppo.
Il giorno del suo compleanno, sfinita, resta sotto le coperte fino a tardi. Ha fatto un sogno. Francesca aveva sette anni, tornava da scuola con il vaso sotto il braccio. Senza dirle una parola, la ignorava e si chiudeva in camera. Dietro la porta chiusa, Ivana piangeva. Batteva colpi rapidi e supplicava la figlia di aprirle e consegnarle il vaso.
Quando il telefono squilla, sobbalza. Ha il mal di mare. Si alza di scatto dal letto e risponde.
«Buon compleanno, mamma. Veniamo domenica!»
«E il vaso?»
«Quello non l’ho trovato, purtroppo. Ma ho una sorpresa per te».
Ivana ingoia un’imprecazione e ringrazia la figlia con tono grave.
Chiude la conversazione e si muove frenetica per casa. Non può andare avanti così. Ha bisogno di quel vaso. Di vederlo, stringerlo. Accarezzarlo. Deve essere suo.
Aspetta che Eli rientri dal lavoro. Incolla l’orecchio alla porta e osserva dallo spioncino. Non appena la vicina spunta dalle scale, si morde un pugno e trattiene l’esultanza.
Lascia trascorrere qualche minuto. Si prepara e va da lei.
«Hai un’espressione diversa, oggi. Molto più rilassata».
Ivana annuisce e si passa tra le dita una ciocca di capelli.
Se allora avesse avuto la stessa età della vicina, e stretta in un bikini azzurro – mai troppo – avesse parlato al marito, che cosa sarebbe accaduto? Se guardandolo negli occhi gli avesse chiesto: «Veniamo a vivere al mare?», dove sarebbero, entrambi, adesso?
Quando Eli si volta per andare in cucina, Ivana sfrutta il tempo a disposizione. Non ha scelta. Afferra la prima cosa che le capita a tiro e la colpisce. Dall’alto in basso.
Un tonfo. Un rumore bagnato e il fracasso dei cocci che le esplodono intorno.
Eli è a terra. La testa, un impasto di rosso e bruno. Sangue e capelli. Accanto al corpo immobile, giacciono i resti di un vaso. Troppo azzurro. Di un tempo perfetto, mai lungo.