Intervista a Raimondo Di Maio (Libreria Dante & Descartes)

Si pubblica qui di seguito l’intervista a Raimondo Di Maio, titolare della Libreria Dante & Descartes di Napoli. Il dialogo, a breve sarà disponibile anche il video dell’intervista, è stato registrato a ottobre 2023 con la partecipazione di Michele Salomone, Matilde Cesaro, Adelaide Russo e Vincenzo Orefice. La trascrizione è a cura di Pasquale Asseni.


Michele: Quando è che dici “Ora faccio il libraio, faccio l’editore”?
Raimondo: Diciamo che non ho deciso niente, è stata la passione. È la passione che mi ha guidato a fare questa cosa. Quindi ho cominciato a vendere queste enciclopedie. C’era questo principale, questo cretino, che diceva “Dovete dire alla gente che è un investimento”. Ma di che? In questi cartoni orribili, questi libri stampati male. Però era un primo approccio. Poi ho avuto la fortuna: alla Feltrinelli serviva un sub-agente. L’agenzia Feltrinelli a Napoli era fatta da un grandissimo intellettuale, un grande poeta che si chiamava, si chiama, Sasà Di Natale, non so se l’avete conosciuto. E allora io sono andato a lavorare lì, tra l’altro in un posto magnifico, in mezzo a questi libri Feltrinelli, era da poco scoppiato il traliccio quindi è stata un’esperienza straordinaria. Tutti ‘sti libri del Gruppo 63 che non li voleva nessuno, mo valgono l’ira di Dio.
Matilde: Tra cui anche Costanzo Ioni.
Raimondo: Si, adesso sono sessant’anni del gruppo 63 e questi libri valgono moltissimo ma allora non li voleva nessuno. Anche per la grafica che era molto innovativa, molto interessante.
Michele: La neoavanguardia, Sanguineti e gli altri.
Raimondo: Si, mo sono sessant’anni. Che erano dei cretini, figli di papà, che hanno fatto tutte teorie sulla letteratura, sulla poesia. Anche dei grandi intellettuali italiani. Non hanno prodotto nulla. “Che avete prodotto?” “Niente”. Umberto Eco, insomma dell’elite di questo Paese quindi in maniera irriverente, poi però non hanno prodotto niente. Cassola aveva successo? Davano addosso a Cassola. Rea aveva successo? Davano addosso a Rea. Bassani aveva successo? Stiamo parlando dell’altra parte della barricata dove c’erano i grandi scrittori italiani. Ne avessimo oggi di questi scrittori, di quel livello, di quella grandezza, di quella capacità narrativa. E invece. E quindi quest’esperienza che ho fatto è stata molto importante. La Feltrinelli rateale, perché era un corpo di questa grande famiglia che è Feltrinelli, Giangiacomo Feltrinelli, stava per fallire perché non funzionava più. Non funzionava il libro politico perché Giangiacomo Feltrinelli pensò alla rateale per vendere questi libri perlopiù politici. Tipo io venivo a casa tua, ti vendevo trenta libri, rimanevo a mangiare a casa tua tutto ‘o pomeriggio, i libri costavano 300/500 lire, e naturalmente questa cosa non è durata più. Poi la Feltrinelli è diventata una holding, adesso è quella cosa che investe in borsa e fa altre cose. E quindi mentre stavo alla Feltrinelli si libera un posto nell’Einaudi e quindi sono diventato agente Einaudi che è stata invece un’esperienza molto più formativa, molto più importante. Perché avevamo un rapporto con i torinesi e c’era una sorta di straordinario editore e braccio destro di Giulio Einaudi che si chiamava Roberto Cerami. Lui voleva incontrare a tutti i suoi rappresentanti per parlare. “Perché vendi questo? Perché vendi quello?” Quindi a Napoli ci incontrammo e così diventammo molto amici. Ci siamo anche un pò scontrati su delle cose, per esempio lui aveva fatto “La storia” di Elsa Morante direttamente nei tascabili e io mi permisi di dire, dopo questi mercoledì che loro facevano, che era un errore perché era un libro straordinario. L’ho letto con una passione pazzesca anche perché amo Elsa Morante. Lui mi redarguì “Come ti permetti di parlare?”. Però questa era l’esperienza con Einaudi, è stata un’esperienza molto forte. Però anche l’esperienza Einaudi è finita perché la rateale Einaudi è andata in crisi perché quel sistema di far leggere tutti, auspicato da questo principe dell’editoria che era Giulio Einaudi, non funzionava più perché ad un certo punto i capitali, il capitale finanziario che si faceva prestare soldi dalle banche per fare tutte queste grandi iniziative non funzionava più, il “rientro” ecco, si chiama così in termini finanziari. E quindi anche l’Einaudi è andata in crisi, tutta l’Einaudi, non solo il ramo rateale che era una parte molto importante perché gli intellettuali, gli operai, gli studenti impegnati compravano questo, facevano questa raccolta di libri Einaudi a rate, comprando i libri a rate. Quindi era una cosa sicura, penso che era l’editore più forte del momento nel nostro Paese. E quindi quando va in crisi questo gigantismo, a Napoli pensate che eravamo trenta agenzie che è una cosa che oggi.. nun ce stanno trenta librerie. Eravamo trenta agenzie che vendevamo libri a rate. Io avevo la fortuna di avere la zona operaia, che andava dalla zona della ferrovia fino a via Nuova delle brecce, dove avevo tutti gli operai, una parte, un elite naturalmente non tutti, ma una buona parte di operai che compravano libri che era una cosa straordinaria. Compravano Sciascia, Calvino, Gadda, si chiedevano delle cose. E quindi quando crolla questa sorta di gigantismo, questa elefantiasi dell’editore che ho chiamato così in un libro che sta per uscire e si chiama “Zibaldone della mia vita”, e quindi quando salta questa cosa, fallisce Einaudi e quindi ci licenziano, io avevo appena finito l’università ma ero molto spaesato e dico “Che faccio?” e quindi ho aperto una libreria in un vicolo. Quando ho aperto la libreria mi sono accorto che mancava la cosa principale: i soldi. E naturalmente questa libreria l’ho aperta, ho fatto delle cose che non saprei più rifare. È vero, ho fatto sempre l’artigiano nella mia vita, ho fatto tanti lavori, però ho fatto le vetrine, il bancone, ho fatto tutto io a mano trovando pezzi per la strada, comprando della stoffa. Insomma ho fatto cose irripetibili ma era una grande passione, poi avevo vent’anni. Quindi ho avviato così la prima libreria che era in via Donnalbina, non c’erano ancora le grandi librerie dette di catena, che è una brutta parola però, in Italia e quindi contava il libraio, quello che sapeva, e io un pò per amore e per passione sapevo tanto. Tenevo tutta l’università napoletana, venivano da me specialmente la parte umanistica, da Mazzacurati a Zagara, anche i miei insegnanti perché all’ombra di questo che ho detto mi sono iscritto all’università, ho fatto degli studi irregolari. Sarei sulla carta un ragioniere ma mi sono iscritto a filosofia per amore della letteratura e della filosofia, del pensiero. E quindi questi professori venivano da me, era, per un momento, una libreria molto importante per la città, piccola piccola che però faceva molto rumore.

Michele: Col nostro amico Raimondo ragionavamo di letteratura che ti cambia, come si suol dire, la vita, ti cambia la strada e nel suo caso la porta da altre parti. Ci vuoi indicare (so che è una domanda troppo vasta) qualche autore che ha inciso particolarmente su di te, sulla tua formazione, sul tuo immaginario?
Raimondo: Sì, più di un autore, alcuni sono quasi parenti e parlo di Erri De Luca, Domenico Rea, che sono talmente letti e studiati che sono diventati una parte della mia vita. Poi li frequento pure, con Erri siamo molto amici, siamo fratelli isolati tra i libri e faccio parte della Fondazione Erri De Luca, a scopo sia della promozione dell’opera di Erri ma facciamo anche molte cose importanti, anche intervento sul sociale. E questi sono scrittori con cui in qualche modo, col tempo, si instaura una sorta di dialogo. Nel caso di Erri, tutti i libri che scrive sono molto importanti perché è come se continuasse un dialogo avviato con il primo libro; lui ha scritto più di cinquanta libri e ogni libro è sempre un rapporto molto importante perché capisci dove sta arrivando, cosa sta crescendo, quante cose ha da dire. Parlo di “A Schiovere” che è l’ultimo libro di Erri De Luca che è questa sorta di “napoletano gentile va in giro per l’Italia” perché è un libro di modi di dire ma intimi, quelli che si usano in famiglia, che Erri porta un po’ in giro per l’Italia e questo non succede mai tranne che in questo momento in cui Napoli è alla ribalta perché tutti vogliono venire a Napoli, tutti vengono a Napoli. Oggi sono stato in un ristorante e c’era una signora di Milano che ha detto “La vengo a trovare!”, parlavamo di libri tra l’altro… quindi c’è questo fenomeno. Però la letteratura che ti cambia la vita è quella letteratura che in qualche modo ha un qualcosa con cui confrontarsi, non è quella che ti diverte; è quella che ti diverte pure, ma sostanzialmente ti cambia un po’ dentro, cambia le tue convinzioni, il tuo perimetro in qualche modo, cambia il tuo perimetro esistenziale.
Michele: Che bello, grazie. Citavi Napoli, parlavi di Erri De Luca, grande napoletano, grande conoscitore dell’anima napoletana, eppure “Il resto di niente” dice che Napoli è una città nobilissima ma anche lazzarona. Tu che rapporto hai con questa città? È una città lazzarona? Nobilissima? È tutte e due le cose?
Raimondo: Se Napoli è una città lazzarona, io faccio parte dei lazzari. Credo che sia una città difficile, con delle sue grandi contraddizioni, con l’Averno e con il cielo, ma è molto difficile definire Napoli, credo sia una cosa molto complicata perché essendo molto complessa, geologicamente formatasi con varie esperienze, se non fosse per tutti i domini che ha avuto, oppure tutti i grandi uomini che ha avuto, le grandi scoperte, i grandi primati sciupati, perché un primato per essere un primato deve diventare strutturale e invece non lo è. Diceva un grande antropologo, che era Lévi-Strauss: “I lazzari bisogna saperli vedere”, lui parlava della volgarità. Credo che sia una città che ha dei problemi serissimi. L’altro giorno sono stato a Roma, ho presentato un libro sulle navi quarantena istituite dalla Croce Rossa italiana e mi ha fatto molto piacere perché alla presentazione c’erano tutte le persone del libro, tutti questi ragazzi africani, ragazze e ragazzi che sono un’epopea vivente e poi ho detto, un po’ provocatoriamente, ma veramente con molto affetto: chi sa lo Stato italiano che organizza due navi quarantena per il Covid mentre noi abbiamo trentamila bassi, che non sia mai veniva il Covid! È vero che abbiamo San Gennaro che è una potenza sanitaria e poi abbiamo gli anticorpi. Però è veramente una contraddizione: abbiamo questi bassi che non riusciamo a toglierci da sotto, non da dosso, dove si vive male!
Michele: Quindi tu Raimondo non condividi l’invito eduardiano “fujtevenne”?
Raimondo: Eduardo si poteva permettere tutto, era una grande drammaturgo. Non ce ne voglia Eduardo ma tutti scappano da Napoli per trovare un minimo di lavoro, per pagarsi almeno il fitto e il vitto. Quand’ero ragazzo sono stato emigrante, andavamo dei mesi fuori a lavorare, in Germania o in Francia. Portavamo un pacco di soldi per rimanere dei mesi a studiare, adesso non è più così. Adesso i giovani, la nuova emigrazione va a Milano a lavorare e a stento riesce a pagarsi l’appartamento e il vitto. Quindi perché “fujetevenne”? “Turnatavenne” si dovrebbe dire! Però abbiamo un problema serissimo. Era strano ieri che Vincenzo De Luca parlava dei privilegi del PD, ma forse ha dimenticato che ha sistemato i suoi figli. Ieri lo appoggiavano a questo Circolo del Tennis che dopo aver invitato Salvini giustamente ha invitato il nostro Vincenzo De Luca. Però mi sembra che ci siano molti pasticci politici in questa città, problemi serissimi, molto gravi. E forse lui è uno dei problemi. E liquiderei la questione su Vincenzo De Luca.
Michele: Raimondo, sono stato l’altro giorno proprio qua, alla Federico II, a un seminario di ecologia politica, pieno di ragazzi. Io e te veniamo da un’altra storia e da un’altra generazione in cui forse l’impegno politico produce l’ultimo vagito. Tu che vedi entrare tanti ragazzi qua e hai il polso della situazione, sotto questo aspetto che te ne sembra di queste nuove generazioni?
Raimondo: Le generazioni sono responsabili della propria età. Credo che questi giovani abbiano una grande consapevolezza del tema all’ordine del giorno e gravissimo dell’ecologia, quindi questo è un fatto positivo. Noi avevamo ancora il dibattito sulle centrali nucleari o no. Mi sembra importante, poi credo che siano i giovani che istituiscono il futuro e le regole per il futuro ed è paradossale che nel nostro Paese ci siano ancora questi vecchioni di cui dicevo prima che fanno leggi e istituzioni per i giovani. Per me, un politico dopo i sessant’anni deve andare a casa, in pensione, obbligatoriamente, non come gli statali o per tutti i pensionati d’Italia che devono aspettare tanto. Li manderei anticipatamente, farei loro un anticipo di pensione, con un vitalizio leggermente più basso perché mi sembrano esagerati i privilegi che già hanno durante la loro professione. E dopo ne hanno ancora altri! Mi sembra veramente esagerato per un Paese che è povero e piccolo, un bacino piccolino che si chiama Italia, che sì ha dei grandi ricordi del passato ma adesso siamo in una situazione molto difficile e molto complicata. È molto difficile accettare quello che dice questo governo, La Russa, Meloni… Pare che ‘o mellone è uscito bianco. Ci sono dei problemi per il futuro, credo si stia profilando una situazione molto difficile, di imbottigliamento di questa crisi del Paese che già c’era, sicuramente già c’era, ma loro non sono all’altezza, non erano pronti, avevano detto di essere pronti ma l’avevano scambiato per il ”Pronto” che era un famoso lucido per i mobili.  Ma loro non sono assolutamente pronti, non ne hanno le qualità, hanno solo questa rapacità di afferrare tutto. Questa non è politica, questa è un’altra cosa. Questa è l’ultima carovana dei pellerossa. Invece noi, da governati, chiediamo un governo.
Michele: E della lotta per i propri diritti, contro le discriminazioni?
Raimondo: La sconfitta di questa specie di governo che ci vuole governare ma non riesce a governare niente è che sui diritti, sulle cose vere, sui sentimenti delle persone, sul genere, sul lavoro, sull’ecologia, non ha proprio parola. Non è che non ha risposta, non sa proprio niente! E allargherei il campo a tante altre cose ma non vorrei farmi altri nemici, però credo che non siano preparati, sono degli incapaci fracassatori di molte cose ma non sono in grado di costruire niente, abbattono le vecchie case ma non sono in grado di pensare la nuova casa, quindi dovrebbero andare a casa, per usare questa metafora.
Michele: Vengo in uno dei tuoi molteplici campi, perché come abbiamo detto tu sei uomo di multiforme ingegno e di multiforme attività (ce ne fossero!), che è quello editoriale. Il mercato editoriale sforna titoli come se fossero piastrelle, mattonelle, saponi. Che sta succedendo? È diventata un’industria a tutti gli effetti?
Raimondo: Be’, le piastrelle durano un po’ di anni, ho l’impressione che li potremmo paragonare allo yogurt. Gli yogurt hanno una scadenza a tempo, i libri non hanno una scadenza ma ho l’impressione che scadano prima. In Italia, anche i nuovi editori, e penso a La Nave di Teseo, Solferino, stampano, stampano a tamburo battente quasi debbano occupare il territorio, quindi occupare le grandi librerie e le vetrine dei librai. Questa non è editoria, questa è tutta n’ata cosa. Questa è una produzione disperata, senza amore per i libri, che pubblica per vendere, per stare sul mercato, per fare profitti ma non per fare libri. Voi siete un insegnante: se chiedete un classico, non si trovano, non sono in commercio. Tra l’altro in barba a una legge sul monopolio, abbiamo dato a un padrone di dubbia ricchezza, un pluripregiudicato che è il signor Berlusconi, che stanno per santificare, le maggiori case editrici italiane e ho l’impressione che rispetto al “non tradiremo quello che era la casa editrice” poi ci sia un tradimento totale; penso allo scadimento di Einaudi, di Rizzoli, che sono i nostri classici. E questo è un patrimonio di tutti quanti noi italiani che affidiamo a questo signore, alle sue figlie, alle sue ricchezze, ai suoi soci. E questa non è editoria, questo è capitale finanziario mischiato a un’impresa disperata di editoria. Questo non è far libri, è fare un’altra cosa. Questo giustifica il perché oggi una libreria è fuori dall’economia di mercato. Io qui sono da solo, ecco perché c’è questo disordine che vedete, perché non riesco a pagarmi assolutamente un dipendente. Ho sempre avuto tre dipendenti, sempre apposto con i documenti e tutto, ma oggi non riuscirei ad averne. E da vetero comunista o comunista per errore, preferisco stare da solo.
Michele: Raimondo e tu quando decidi di pubblicare un libro, vai a fiuto, vai a ferite esistenziali, vai a intuito, che cosa ti guida?
Raimondo: Una buona lettura è, come diceva un filologo tedesco, dieci letture del testo! Devi avere cognizione di dove va a finire il testo. Naturalmente entrano in gioco le esperienze, l’intuito, anche il mercato, perché si deve anche posizionare un libro sul mercato che può in qualche modo vendere, perché abbiamo una casa e delle spese. Naturalmente diciamo che il libro è un lavoro progettuale, tu cominci a fare un progetto che dovrebbe servire al “Paese”, diciamo, ma non vorrei sembrare un buffone. Un progetto che dovrebbe servire agli altri, a chi legge i libri, e quindi poi se hai questa avventura puoi essere contento. Naturalmente stanno quasi tutti libri che mi piace fare, sbagliando sicuramente perché non sono un mago, però ho consapevolezza e responsabilità dei libri che faccio come di quelli che metto in commercio. Io compro il 12%-15% di quello che si pubblica perché sono responsabile di quello che ho in vetrina e di quello che affido specialmente ai giovani, che sono più intelligenti di me, però sono io il mediatore in quel caso.
Michele: Un’ultimissima cosa sull’oggetto libro: ne era stata annunciata la morte, tramite tablet, eBook…
Raimondo: Se continuiamo a fare Vannucci (Vannacci, ndr) e Vespa, il libro è morto. Se facciamo i libri, il libro non morirà mai. Sono duemila anni che abbiamo questa fortuna di avere i libri che ci riempiono la vita e la cultura, il sapere. Certo se continuiamo a fare i libri fasulli… Quelli non sono libri, quelli non hanno ragione di esistere.
Michele: Poiché Raimondo è un uomo che viene dal passato ma è anche un uomo del futuro, perché ha una visione incedibile in avanti…
Raimondo: No, il futuro sono i giovani a cui ci stiamo riferendo, noi siamo gli osservatori di un futuro.
Michele: Però tu poni delle basi sulle quali loro potranno camminare secondo me. Che ti sentiresti di dirgli, condensando anche la tua esperienza esistenziale, politica, lavorativa? Che lasceresti?
Raimondo: I grandi valori del passato: la dignità, l’onestà e poi la forza critica, bisogna essere critici, indipendenti, non si può essere strumentalizzati da un tablet, da una televisione o da un computer o da un sistema commerciale. Credo che la loro libertà sia importante, il loro occhio, la loro forza, perché credo rappresentino una forza che si innesta su un processo storico reale o irreale, un po’ sbagliato… Non gli consegnamo un bel mondo, questa è la verità. I giovani devono avere la consapevolezza che gli stiamo consegnando una specie di rifiuto e devono cercare di rabberciarlo in qualche modo per andare avanti. Questo credo che sia il più grande suggerimento, con l’onestà di una persona modesta quale sono. Credo che loro debbano prendere questo mondo e cercare di fare meglio di quanto hanno fatto i genitori, che l’hanno inguaiato questo mondo.
Michele: Tu, come sai, abbiamo questa rivista, la cui età media è di 22-23 anni; quindi, in qualche materia già è un tentativo di essere critici, di ragionare sul tempo presente, di provare a percorrere delle strade, magari anche illudendosi, sbagliandole, però di non restare fermi, e io quindi approfitto anche per ringraziare questi giovani.
Raimondo: Un augurio a questi giovani di 22 anni, che non è la migliore età, che è un famoso detto di Paul Nizan. Oggi i 22 anni sono un macigno da scalare per questi giovani, perché non c’è lavoro, non c’è potenzialmente la possibilità di vedere un futuro se non individuale. Quindi i giovani hanno questa drammatica età, un momento in cui dovrebbero decidere come mangiare nei prossimi anni. Questa sfida sarà sempre maggiore, perché questo Paese non produce posti di lavoro, non ha progettualità, è caduto nel post-moderno.