L’amore al fiume e altri amori corti di Ezio Sinigaglia

L’amore al fiume e altri amori corti, di Ezio Sinigaglia, è una raccolta di racconti – o meglio di sequenze e quadri narrativi – caratterizzati da uno scenario comune e da tematiche simili. Lo scenario che fa da sfondo alle varie vicende narrate è quello della naja: più precisamente un campo estivo, una sorta di caserma en plein air, microcosmo al tempo stesso aperto e chiuso. È questo uno spazio particolarmente caro a Sinigaglia, che ne ha mostrato le molteplici sfaccettature anche in altri suoi testi. Si pensi, ad esempio, a Sant’Aram nel regno di Marte – ovvero la seconda parte del dittico Fifty-Fifty (TerraRossa, Bari, 2022) –, o al racconto lungo Soldati sulla luna (ospitato in Nuvole corsare. Quindici racconti per Pier Paolo Pasolini, a cura di F. Borrasso e G. Girimonti Greco, postfazione di P. Lago, Caffèorchidea, Eboli, 2020).
Il mondo militare, quale lo descrive Sinigaglia, diversamente da quanto si potrebbe pensare, ha ben poco di guerresco, marziale o aggressivo. Al contrario, costituisce un contesto ideale di incontro e di scambio tra gli esseri umani. Si tratta di giovani uomini che, al di là del sesso e dell’età, non hanno nulla in comune, e che dunque, se non ci fosse stata una simile occasione, non avrebbero mai incrociato i loro destini. I ragazzi sono differenti tra loro per cultura, educazione, provenienza geografica, conoscenza e accettazione di sé, visione del mondo. Parlano dialetti diversi, che Sinigaglia è abilissimo nel riprodurre anche nei loro aspetti più singolari e folcloristici (mi limito a citare, a mo’ di esempio, le espressioni vernacolari “Madonna crisantema”, “Madonna fattucchiera” ecc., attribuite all’estro linguistico del soldato Baldini, di origine toscana). L’interesse per la lingua italiana, del resto, caratterizza Sinigaglia fin dai tempi delle sue prime prove, e attraversa tutta la sua produzione narrativa.
L’altra importante tematica presente in questi racconti, strettamente legata alla precedente – come già accadeva nei testi citati all’inizio – è quella dell’omosessualità e dell’omoaffettività. L’ambiente militare costituisce il contesto ideale perché tali istanze prendano spazio. Ciò non solo perché con l’occasione del servizio di leva tanti uomini si trovano a convivere a stretto contatto gli uni con gli altri, ma soprattutto perché questi giovani maschi sono come decontestualizzati, lontani dalle loro case, dalle loro famiglie, dalle loro città, campagne, paesi. In quei luoghi, i personaggi non potrebbero che recitare la parte che è stata loro assegnata fin dalla nascita: accompagnarsi con donne, sposarsi, fare figli. Occorre precisare che questi testi sono ambientati alla fine del secolo scorso, ovvero in un’epoca pre-cellulare, pre-internet. Un’epoca in cui, ancora, per conoscersi bisognava incontrarsi; per essere col pensiero in un luogo, in uno spazio fisico e culturale, bisognava esserci stati, almeno una volta, con il corpo. Un’epoca in cui le sovrastrutture erano, apparentemente, più forti, l’emarginazione meno subdola, la negazione meno edulcorata. Un’epoca che, tuttavia, consentiva ancora delle vie di fuga dalle maschere di cartapesta che ognuno era costretto a portare. E così questi ragazzi, fuori dal loro spazio, fuori dal loro tempo, finiscono di conoscere sé stessi, sperimentando le meraviglie del possibile. Il percorso che compiono all’interno della loro anima li conduce spesso a scoprire che sono in grado di provare attrazione e amore anche per persone del loro stesso sesso. Perché l’amore e l’attrazione, sembra dire Sinigaglia, si sottraggono a ogni schema fisso e a ogni formula preconcetta. Questa verità emergeva con tutta la sua disarmante chiarezza anche in Sillabario all’incontrario, in cui il protagonista-narratore si faceva portatore di istanze solo apparentemente contraddittorie, in materia di identità sessuale, di identità in generale, di “stili” del maschile”, ruoli, ecc.
Che la naja costituisca lo spunto per una riflessione sulla volontà e l’(auto)-rappresentazione ce lo rivelano anche i titoli di alcuni racconti: ci riferiamo, in particolare, a La pièce e a Il ritratto. Nel corso di queste narrazioni, il gioco delle parti si fa più esplicito, il richiamo degli specchi diviene ancora più accattivante. Ma è nel primo racconto (quello che dà il titolo alla raccolta) che Sinigaglia, ancor più che altrove, mostra la fragilità dell’essere umano: con uno stile insieme umoristico e incalzante, ci descrive infatti l’incontro omoerotico tra due soldati, lasciando emergere come il più forte sia, una volta di più, quello dei due che ha imparato ad accettare la contraddizione connaturata all’essere umano. L’uomo, per così dire, tutto d’un pezzo, che sulle prime inorridisce all’idea che l’altro sia “frocio”, crolla ben presto come un castello di carte, vittima dei propri stessi sentimenti, che lo inchiodano al dolore abbandonico nonostante le inutili barriere che si era imposto.
Assai degno di nota è anche il penultimo racconto, Il telefono, ambientato quando questa parola voleva ancora dire qualcosa, quando questo oggetto era davvero l’elemento reale e simbolico capace di mettere in contatto due lontananze che, altrimenti, sarebbero rimaste tali senza speranza. E così, un giovane chiama la sua fidanzata per confessarle di essersi innamorato di un’altra persona – ma sarà un amore da soldato, un “amore corto”. Nulla di più. L’obolo pagato alla dea sincerità gli consente di regalarsi una parentesi di libertà. Poi tornerà alla sua routine, ai suoi diritti e doveri, al suo mondo intriso di regole tanto rassicuranti quanto asfittiche. D’altra parte la naja, lo si intuisce, rappresenta per tutti i soldati, nessuno escluso, una bolla di autenticità sospesa tra il passato e il futuro; tra un’infanzia e un’adolescenza fatte di giochi e di inconsapevolezza, e un’età adulta in cui i ruoli assegnati ad ognuno sono fin troppo chiari.
I racconti di questa raccolta presentano una sottile ma inequivocabile vena malinconica, data dalla consapevolezza che la bolla si dissolverà presto. I ragazzi torneranno dalle loro fidanzate, di cui (forse) portano la fotografia nel portafoglio, le sposeranno, avranno dei figli da loro. Se avranno fortuna – o sfortuna, dipende dai punti di vista –, la bolla tornerà a cercarli quando meno se lo aspetteranno, richiamandoli a fare i conti con il sé stesso possibile che hanno scelto di non diventare. È ciò che accade, per l’appunto, nel già citato Fifty-fiftySant’Aram nel regno di Marte, in cui un uomo, entrato in una casa per una semplice riparazione da idraulico, vi trova invece un pezzo della sua vita passata.
In conclusione, si può dunque affermare che, anche in questa prova, Sinigaglia si rivela un narratore esperto e poliedrico. Oltre a manifestare una raffinata capacità di approfondimento psicologico, lo scrittore dimostra, una volta di più, di essere capace di toccare i più vari registri stilistici. Non ha paura di osservare la realtà anche nei suoi aspetti più triviali e concreti, né di . chiamare le cose con il loro nome o di mettersi a giocare con i nomi e i soprannomi. Non ha paura di far ridere – L’amore al fiume e altri amori corti è, forse, il libro di Sinigaglia maggiormente ricco di ironia –, ma neppure di far piangere, descrivendo, con poche ma efficacissime parole, deserti interiori del tutto privi di appigli. Ci troviamo dunque di fronte, senza ombra di dubbio, a un’ulteriore conferma della grande abilità narrativa di Sinigaglia, che gli consente di inventare mondi policromi, paesaggi nitidi e cristallini, personaggi indimenticabili.