Un presupposto sbagliato: l’epopea dei mugiwara

Cimentarsi nell’apologia di un manga è complesso. Mi sorprende sempre come ogni rivendicazione del suo valore artistico cominci sempre con una giustificazione: “Non è solo un manga”. Come se nella parola fosse insito un peggiorativo, e fosse necessario prostrarsi e spiegarsi ulteriormente. Il logocentrismo europeo assegna, quasi in maniera esclusiva, valore alle forme letterarie, sottraendolo a gran parte del resto. Così, la lunga battaglia che ha dovuto affrontare il cinema, viene ripercorsa per il manga.
Che l’arte nipponica guadagni sempre più terreno è fuori dubbio, basti pensare a quanto il merchandising dei manga abbia invaso i nostri mercati o a come la Francia abbia decretato l’entrata del fumetto giapponese fra i beni acquistabili con il bonus cultura. L’incontro di Macron con i grandi mangaka ha avuto un grande valore simbolico. Qualcosa si muove, finalmente, ma c’è un campo che continua ad essere serrato: l’Università. Quanti corsi esistono sui manga? Così pochi da sfiorare l’inesistenza. Le facoltà umanistiche annoverano nella loro offerta tutte le arti: letteratura, pittura, cinema, musica, teatro. I videogame ed i fumetti non sono inclusi e probabilmente una proposta del genere causerebbe ilarità. Così il luogo che dovrebbe essere casa delle avanguardie culturali, così attente ai rumori esterni, si fa isola insonorizzata, vecchio stanco che si raggomitola sulle sue consuetudini. Il manga, che in un antiquato sistema discriminatorio forma “la cultura bassa”, già plasma il modo di concepire il mondo della generazione Y. Ed è giusto che sia così. L’identità culturale dei millennials si arricchisce dello spirito nipponico, delle sue arti e delle sue leggende, del suo modo, a volte estremamente poetico, di concepire la vita. Una breccia si apre fra i serrati ranghi del nostro pensiero occidentale, ormai vacuo vessillo di vanità che si legittima attraverso la sua materializzazione in strutture atte a proteggerlo dai colpi esterni. E lui, che avrebbe dovuto essere la fiamma che brucia il mondo, è ormai una fiammella tremolante che teme ogni spiffero di vento.
One Piece, opera del maestro Eiichirō Oda, è forse uno dei migliori esempi di quanto quest’arte possa darci. Si tratta di un manga, che consta ormai più di 1100 capitoli, che cadenza la vita di molti di noi da più di vent’anni. Io sono nato nel 98’, One Piece nel 97’. Ventisei anni di opera dunque (non ancora terminata). Questa lunga composizione ne fa probabilmente una delle opere più ambiziose mai create ed anche un fenomeno intergenerazionale che ci marchia. Cercare di riassumere in un breve articolo One Piece è come cercare di riassumere l’Odissea in due pagine. Monkey D. Luffy, salvato da bambino dal pirata Shanks il rosso, parte per cercare il One Piece, il leggendario tesoro di Gol D. Roger, il re dei pirati. Il suo viaggio è costellato di incontri, storie e drammi che si intrecciano in una ramificatissima narrazione che plasma un mondo quasi tangibile. Gli straordinari poteri dei vari personaggi che hanno ingerito i frutti del diavolo, capaci di donare abilità uniche, sono solo il rivestimento di questa storia, la cui essenza è formata da temi complessi: ribellione, odio, amore, destino, schiavitù, libertà, sete di conoscenza, curiosità, eticità della scienza, razzismo. Si tratta di una narrazione onirica, e l’intero viaggio si basa sui sogni dei mugiwara: disegnare la mappa del mondo, trovare un mare in cui vivano tutti i pesci, scoprire una panacea universale, ritrovare un vecchio amico in attesa. «Perché i sogni di noi pirati non potranno mai finire», afferma Barbanera. Ma l’ossessione occidentale per ciò che è pesante rende molto complesso far vedere la bellezza che la leggerezza può celare. Oda si lega al filone dei grandi maestri del fantastico come Wells, Verne, Lovecraft che soffrono l’appellativo delle loro opere. Perché dire fantastico è dire irreale, senza valore. C’è veramente da sorprendersi date le vestigie d’illuminismo che si agitano e ci corrodono da dentro?
Per questa impossibilità di descrivere l’intero universo di One Piece, mi limiterò solo a due temi: Il cibo e la libertà.
Che sia trattato in maniera iperbolica con le pantagrueliche abbuffate dei personaggi, o in maniera molto più seria, il tema del cibo è una costante in One Piece. Gli ultimi due archi narrativi, la saga di Wano e la saga di Egghead, ben riflettono, a mio parere, l’importanza del tema. Wano, il paese dei samurai, è devastato dal regime dittatoriale dell’imperatore Kaido che ne ha inquinato le acque e reso incoltivabili le terre. Da vent’anni il paese versa in condizioni tremende, ed i suoi cittadini muoiono di fame. La cruda verità di chi muore di fame è mostrata dal pianto di una bambina, O Tama, che si scioglie in lacrime mangiando una zuppa. A Wano, riflesso immaginario di una serie di paesi devastati dal colonialismo, è negata la dignità dell’essere uomo. Ma è in Egghead, nel flashback di Kumachi, che si mostra la vera poetica del cibo. Kuma, reso schiavo fin da piccolo perché facente parte della razza dei Baccania, non ha conosciuto altro che fame e sofferenza. Quando riesce a scappare, Kumachi si stabilisce su di un’isola insieme a Ginney, schiava anche lei fin da bambina. Ed è lì, appena dopo il primo vero pasto della loro vita, che Ginney dice piangendo: «è che sono sazia, sono proprio sazia». Il tema della libertà si fonde con quello del cibo nelle parole di Luffy, che interrogato sul mondo che vuole creare risponde: «Creerò un mondo in cui i miei amici abbiano cibo fino a scoppiare.»
Scrivendo questa apologia di One Piece, mi rendo conto di un presupposto sbagliato: sto cercando di legittimarlo, intossicato dalla mia malattia occidentale, attraverso canoni letterari, mentre il manga è cosa d’altro. Il manga è anche disegno e folklore ed è irriducibile ad una categoria puramente letteraria. Anche la migliore èkphrasis del mondo non restituirebbe la bellezza del piede della Najade del Lombardi che si fonde con l’acqua marmorea. L’unico modo per comprendere davvero One Piece è aprire il manga (rigorosamente al contrario), abbandonare i preconcetti e spiegare le vele alla volta del mare: «Perché non ti unisci a me per mettere questo mondo sottosopra?»


*Il titolo si riferisce al nome giapponese della ciurma di Luffy