Una breve visita di Andrea Betti: Recensione
Se mi dovessi domandare cosa mi allerta nel mondo di oggi, dovrei forse dire una certa disillusione provocata dall’indifferenza che questo stesso mondo genera in noi. La nostra epoca è talmente piena di eventi disastrosi (guerre, carestie, epidemie, cambiamenti climatici, ecc…) che per poter continuare a vivere in pace con noi stessi abbiamo come unica possibilità quella di chiudere gli occhi e far finta di niente o, nel migliore dei casi, far finta di capire. Spesso sento dire che dovremmo relativizzare la vita sul pianeta Terra, perché se adottiamo uno sguardo che consideri i tempi geologici del nostro pianeta o addirittura cosmici, allora in fin dei conti la nostra estinzione è irrilevante e in uno spazio infinito, in infiniti universi ci saranno infinite altre forme di vita più meritevoli di quelle che abitano questo pianeta che chiamiamo Terra. Nietzsche in Su verità e menzogna ha scritto: “In qualche sperduto angolo dell’universo scintillante riverso in innumerevoli sistemi solari c’era una volta un astro, sul quale intelligenti animali scoprirono il conoscere. Fu il minuto più tracotante e mendace della storia universale, tuttavia certo solo un minuto. Dopo pochi respiri della natura l’astro si raggelò, e gli intelligenti animali dovettero inevitabilmente morire. Era anche tempo: giacché, sebbene si vantassero si aver conosciuto già molto, tuttavia essi infine scoprirono, con gran fastidio, che avevano conosciuto tutto falsamente. Essi morirono e nel morire maledissero la verità.”
Dunque se adottassimo realmente questa prospettiva, questo occhio universale, allora dovremmo riconoscere che tutte le vicende umane, tutto quello che per noi ha significato, tutte le nostre gioie e sofferenze, sia quelle personali che quelle scritte sui libri di storia, ecco tutto questo non ha importanza alcuna per nessuno, se non per noi stessi, minuscole creature secondarie, periferiche e immensamente tracotanti che vivono per pochi respiri cosmici. Il solo riuscire a vedere la vastità della tracotanza umana potrebbe avere come conseguenza un contraccolpo psicologico talmente forte da incenerire la nostra mente.
Andrea Betti mette in scena questa tragedia, certo lo fa nell’unico modo possibile, ovvero nella burla, nello scherzo, nella risata (un gesto molto caro a Nietzsche), una risata che da una parte vela la tristezza di quel che ci sta raccontando, ma d’altra mette ancor più in rilievo la catastrofe dentro alla quale ci troviamo, ovvero lo shock post traumatico, l’atarassia apatica del non essere non solo al centro dell’universo, ma neppure così particolarmente interessanti. Betti ci narra di una visita sul pianeta Terra da parte di una specie aliena, i Cilestrini. La tracotanza umana vorrebbe che costoro fossero venuti per entrare in comunicazione con noi esseri umani (secondo una lunga tradizione fantascientifica), ma ai Cilestrini non importa affatto di noi. Gironzolano sulla Terra ridacchiando, guardandosi intorno, non considerandoci. E allora qual è il senso della vita se la nostra vita è indifferente? Come potremo guardarci allo specchio sapendo che a nessuno importa di noi? Che siamo, ad essere generosi, una trama molto secondaria, forse addirittura neppure una trama?
La struttura narrativa di Una breve visita ricalca questo contenuto in modo mirabile, tanto che la trama principale sta tutta nella cornice degli eventi che sono raccontati e che ci permettono di dedurre cosa stia accadendo, ovvero la vera storia si colloca su un piano altro rispetto a quello della nostra esistenza umana. Si ha così un libro dove il secondario, cioè la nostra storia, diventa un insieme di frammenti, generi, stili, dialoghi, riflessioni, piccoli eventi insignificanti, capaci tuttavia di dipanarsi per suggestione più che per spiegazione in un romanzo complesso, intrecciato, talvolta nascosto su cosa effettivamente possa continuare a dare un senso a questa vita una volta che si sia scoperto che questa vita alla fin fine non ha proprio alcun senso. La magia del libro consiste proprio nel nascondere dietro alla risata colta, all’ibridazione tra media, generi e punti di vista, in una frammentazione che è quasi ontologica piuttosto che meramente estetica, questa verità, così che leggendo non si possa che divertirsi di questo nulla tracotante che siamo.