Voglio di più

Io che ho visto la terra bruciare
e la gente che mi entrava in casa…
(Pino Daniele)

Ho attraversato la mia adolescenza camminando su strade non più mie, facenne spazio ai piedi in mezzo a corpi senza vita, tra la polvere che si cacciava nella gola e mi faceva vomitare lo stomaco pieno di niente.
Tenevo quattordici anni e il marchese ancora non mi era arrivato. Mangiare scorze di patate o di piselli, quando c’erano, non mi avevano aiutato a crescere, lo stento si specchiava negli occhi di mia madre, che mi squadrava d’a capa ’o pero per non perdermi.
Se penso che mio padre nel ’40 si lamentava che non si trovava il caffè e faceva la faccia schifata quando la moglie gli metteva davanti la tazzina d’orzo, non so se ridere o piangere.
Chi ci pensava alla guerra? Nun ce ’mpurtava. La facevano in Inghilterra, in Francia, lontane mille miglia da Napoli. Ma non ci abbiamo messo molto a capire che nun era accussí. Bastò poco.
Le prime esercitazioni su come entrare nei rifugi al suono della sirena, che ci sembravano un gioco, diventarono abitudine, e le risate ci morirono nella bocca al tuono delle bombe lanciate sul porto e nella zona industriale. Prima quelle inglesi, poi le americane. Arrivavano di giorno, quando stavamo in strada, quando uscivamo dalla scuola. Colpivano palazzi, ospedali, chiese, e i morti non si riuscivano a contare.
Con i cartoni alle finestre, facevamo scuro per non farci vedere, dormivamo vestiti e al primo segnale scappavamo nei rifugi. Chi poté, fuggì nelle campagne, nei paesi, ma servivano i soldi e noi non li tenevamo, ci dovevamo arrangiare. Il coprifuoco e i rifugi non ci proteggevano più.

Dopo il tradimento, siamo diventati il nemico numero uno dei tedeschi. Sembrano impazziti. Sento ancora nelle orecchie le urla d’o guaglione legato al portone in fiamme dell’università e gli applausi nostri che piangono sotto il tiro delle mitragliatrici mentre lo fucilano.
Sparano così, pure senza un motivo, pure sulle femmine, pure sui bambini.
Quando quel tedesco grosso grosso mi ferma a via Foria, afferrandomi per il braccio e mi grida Männer! Uomo!, mi cago sotto dalla paura. Mi trascina fino a uno scantinato. Mi fa segno di infilarmi in un cunicolo, che lui non ci passa, da me vuole sapere se c’è qualcuno lì dentro, ma io sento la puzza della paura e mi giro e gli dico Fertig, nichts andare avanti.

Non so il coraggio dove lo presi, Madonna mia bella. Ce ne erano venti, di uomini nascosti, me lo disse Nannina robba bona, quando i soldati si allontanarono. I maschi si nascondevano, i tedeschi li volevano portare in Germania. Li schifavamo i tedeschi e pure Mussolini che ci aveva messi in quel guaio.

Mio padre e mio fratello scapparono a Ischia. Tornarono quando se sapette che gli inglesi e gli americani stavano arrivando. I maschi rimasti arrobbavano le armi a dove le trovavano, e si passavano la voce murmuriata che faceva paura pure alle orecchie per quello che dicevano.
Mio fratello Ciro fu ucciso sotto le mura di Santa Chiara insieme a tre scugnizzi compagni suoi, mio padre giù al porto, bruciato vivo dalle fiamme della Caterina Costa.
Rimanemmo sole. Io, mia madre, Concettina e Mariuccia. Io ero la più grande, per modo di dire.

Gli americani finalmente sono arrivati, li guardiamo con la fame alla bocca. Ce la riempiono di cioccolata, quelle degli uomini di sigarette. Con gli americani è arrivato pure il marchese. Mi fa male il petto. La pancia è tutto un dolore, non so se è per quello o per la fame.

La guerra ci ha lasciato i pidocchi e ci ha levato tutto quello che tenevamo. In giro non si trova niente. Come cani affamati rovistiamo tra le rovine, e torniamo con le unghie rotte, le mani sanguinanti e vuote.

I soldati ci guardano, ridono sui nostri panni stracciati e chissà quali maleparole sputano, masticando chewing-gum. Sono bianchi e neri, alti, belli e pieni di salute, tutti puliti dalla testa alle scarpe lucide, e hanno i denti tutti sgargianti. Mia madre mi ha fatto segno con il gomito di abbassare la testa e tirare diritto a quello che rimane della nostra casa.
Appena hanno mangiato il cioccolato, Concettina e Mariuccia si sono messe a ballare la tarantella. Mamma ha preso pure tre pacchetti di sigarette, le scambierà al mercato con qualche scorza di cavolfiore. Vabbuò, tanto noi campiamo alla giornata, e ci addormentiamo col pensiero che spera di mangiare domani.
Il pensiero della fame corre in tutta Napoli, dai bassi ai palazzi che sono rimasti ancora in piedi. Chi tiene ancora qualcosa da scambiare, riesce a procurarsi un po’ di farina al mercato nero. Il pane ce lo danno ogni tanto, ma è poco poco, la pasta neanche a pensarci, con quello che costa. Noi non teniamo più niente.
Mia madre ha detto che a via Toledo le femmine si stanno facendo i soldi con gli americani. Si acconciano, si pittano e si vendono. Io non ho capito.
Scetate peccerè, scetate ’Ntonettè che cà se more!
Mi ha arrepezzato un vestito con una tenda vecchia, si è tolta il mantesino e mi ha portato a via Toledo. C’era lo struscio, come se fosse festa. Con i petti che uscivano fuori dalle scollature, le femmine strillavano sguaiate appresso ai soldati mezzi ubriachi, li tiravano per le giacche, si strusciavano sulle divise e sparivano nei vicoli scuri.
Mia madre è riuscita ad agganciare due neri e siamo finite sotto un portone. Ho dovuto capire.
Il giorno dopo abbiamo mangiato. E pure quelli appresso.
Siamo state fortunate, tutte vogliono i neri, perché riempiono la casa di roba. Ci portano quello che vogliamo, lo prendono ai magazzini dell’esercito.

Joe deve partire, me l’ha detto stasera piangendo. Gli ho accarezzato i ricci, gli ho preso la mano e me la sono passata sulla pancia.
Non gli ho detto che sono due mesi che non ho il marchese, sono fatti miei, l’ho sempre saputo che sarebbe andato via, non l’ho detto neanche a mia madre, che mi avrebbe portata da Carmenella ’a mammana a togliermi il peso.
Io questo figlio lo voglio. Lui non ha colpa. Il peggio è passato, mi cerco un lavoro e lo cresco. Ho parlato con Filippo ’o verdummaro se mi trova qualche signora a servizio. Le signore sono tornate e devono sistemare le case, le ville, liberate dalle macerie.
Già lo vedo, con il sole che pazzea con i suoi ricci neri a tirare calci a un pallone coi compagni, riconoscerò tra mille il suo sorriso bianco bianco.
Avrà gli occhi come due olive di Gaeta e saprà di cioccolata, il sapore della miseria che tengo ancora nella bocca. Ma a lui no, non gliela farò patire: lo giuro.

Le tante volte che Joe mi domanda del padre, gli posso dicere sulamente che era un soldato e che chissà dove sta, l’America è lontana assaje, e io gli devo bastare. Si è fatto grande, va a scuola e mi porta sempre belli voti.
A me mi luciano gli occhi quando dice qualche cosa che s’è ’mparato, in un italiano che io non ho mai saputo. Quando mi parla mi fa scordare tutte ’e creature che ho visto morire perché sono nate con una lingua sbagliata.
Per il figlio mio e per tutti i figli ’e mamma voglio di più di quegli anni amari. Voglio di più.