Il capolavoro esiliato: Berserk
Quando cominciai a leggere Berserk, un amico mi chiese: “Secondo te vale quanto un’opera letteraria?”. La domanda nasceva dalla frustrazione di chi cercava di difendere la sua passione da un mondo pregiudizievole, che, inevitabilmente, ti infetta. Davanti a questo grande Dio che è la letteratura, altre forme d’arte più giovani assumono le sembianze del vitello d’oro. Ed anche noi, che le amiamo visceralmente, siamo trasportati da questa onda che ci porta inevitabilmente a sminuire il loro valore. Tuttavia, quando lessi Berserk, mi resi conto che chiunque avesse vinto quel ripudio iniziale verso una forma d’arte aliena, non avrebbe esitato un secondo a rispondere al mio amico: “Assolutamente sì”. Berserk non lascia dubbi, e forse perché è nella natura di Gatsu, il protagonista, sfidare gli dèi.
Berserk è la storia di un ragazzino, Gatsu, e di un oggetto troppo grande, troppo pesante per essere chiamato spada. Uno strumento di morte che diviene l’unico contatto con un mondo brutale, tanto da far affermare a Gatsu che le cose che ha toccato con le mani non sono che un millesimo di quelle che ha toccato con la spada. È la storia della ricerca di un sogno che ci consuma, che ci spinge a sacrificare tutto. Perché i desideri, in Berserk, si pagano a caro prezzo. Gatsu è tormentato dai sensi di colpa, dai rimpianti e da un odio viscerale che a poco a poco lo prosciuga. Il suo viaggio non è l’errare del giovane eroe, ma lo strisciare dell’uomo frammentato, distrutto. I demoni che ogni notte lo attaccano, che cercano di divorarlo, non sono che una parte di ciò che lo fagocita. Il male fisico fa da compendio al male psicologico, in immagini di una violenza e di una bellezza inenarrabili. Perché in Berserk ci sono abbracci che fanno più male della visione degli stupri che il manga ci getta avanti. Berserk non è un’opera che si legge, ma che si subisce. E mentre Gatsu falcia nemici a colpi di spadone, una domanda tremenda serpeggia nei neri delle tavole: “Come si sopravvive ad una violenza subita?”. Non si tratta solamente di superare lo stupro, ma anche dell’amore tradito, di sopravvivere al proprio odio. C’è chi reagisce cadendo nell’oblio, e chi invece decide di diventare un demone per vendicarsi. Sapete perché i draghi sono draghi? Perché l’uomo non può sconfiggerli. Ma cosa succede quando un uomo si erge al di sopra dell’umanità? I draghi smettono di essere draghi? Oppure l’uomo stesso è destinato a non essere più considerato uomo? Gatsu incarna questo quesito, con i suoi volti demoniaci ed i suoi occhi soli. Gatsu è Amleto, Gatsu è Edmond Dantès, Gatsu è un uomo spezzato che cerca di porre le mani su tutte le sue ferite, nel tentativo disperato di fermare le emorragie. Come se non bastasse, Berserk non è solo storia di uomini, ma anche la storia del volto oscuro degli dèi. Cos’è il libero arbitrio? Esiste veramente o siamo solo giocattoli di esseri superiori? Cosa siamo disposti a fare per la nostra fede? E se le pire dei roghi fossero solo fiaccole che accendiamo per essere meno spaventati dal buio?
Berserk è tutto questo, un miscuglio di tematiche difficilissime, stomachevoli, che colpiscono come un pugno sui polmoni. Leggendolo, anche noi ci trasciniamo con Gatsu, feriti ma estasiati dalla bellezza che questo manga cela. Al di là della componente di disegno incredibile, il mondo di Berserk è anche quello del fabbro Godor che continua a battere il ferro per quell’attimo fugace in cui le scintille esplodono, vedendoci all’interno la sua stessa vita. Berserk è un manga di disperazione, ma è anche custode di una filosofia esistenziale che ci incanta. All’inseguimento delle ali bianche del falco Grifis, che resta, a mio parere, il villain migliore mai scritto, Berserk ci porta in una lettura che supera i confini di una semplice narrazione, per diventare un’esperienza di vita.