L’insostenibile pesantezza dell’Apatia

Teste chine. Colli abbassati. Occhi fissi, sbarrati. Umani immersi in uno schermo. Ovunque. Guardano una piccola scatoletta come incantati. Un pifferaio invisibile e mostruoso sembra aver suonato. È l’ipnosi collettiva. La narcosi globale. Il delirio silenzioso divenuto modo universale di stare nel mondo, stile di vita trasversale. Tutti compiono gli stessi gesti, senza distinzioni di età, di ruoli sociali, di classi. È il comunismo culturale del capitalismo. La vera democrazia della rappresentazione. Tutti, allo stesso modo, ingoiati da una Rete impalpabile. Umani si svegliano e postano. Camminano negli smartphone. Guidano con gli Iphone. Attraversano e navigano, nel nulla. Si aggirano come zombie e parlano da soli. Cosa guardano? Con chi parlano? A chi scrivono? Milioni di suoni vuoti, miriadi di segni insignificanti riempiono vite assenti. Le rendono apparentemente vere, illudendo i loro abitatori di esistere. Persone autentiche protesi di materia biologica. L’ottundimento di massa che anestetizza la disperazione. Il nulla che riempie il nulla.
Intorno è l’Apocalisse. Mai annunciata, strisciante, contundente. Cadaveri galleggiano innocenti nel mare, uomini manichei esplodono, piccoli dittatori giocano con l’atomica, miliardari col parrucchino tinto alzano muri e incitano al carbone, il pianeta muore, creature immonde sotterrano rifiuti tossici, il cancro ci divora. L’aria del tempo è irreale, si attende una palingenesi, mai consapevole eppure invocata. Sembrano tornati gli anni ‘30, l’umanità estenuata dalla sua stessa pochezza anela a un uomo forte, che la scarichi dalle proprie responsabilità; in assenza di meglio, anche imbonitori e saltimbanchi vanno bene. Tutto purché questa apatia possa continuare. Purché questo tepore rassicurante da anime stanche ci avvolga e continui a non chiederci di pensare. Giovani inalano sostanze psicotrope culturali e vivono allucinazioni da web, rinchiusi in piccoli muri di disagio e di ego smarriti. Come tutti. Ognuno prigioniero solo della sua tragedia privata che, di fronte alla Storia, ha le sembianze della farsa grottesca. Ognuno solo con se stesso.
Maschere umane occupano il mondo. Dilaga la loro volgarità. Gli animi gentili sono sopraffatti, oltraggiati da masse di violenti che compiono riti al proprio nichilismo quotidiano. Moloch divora tutti mentre credono di esistere, ostentando arroganza e miseria. Il Capitale ha vinto. Il totalitarismo dell’ignoranza si impone. La distopia ha i contorni della facile felicità. Vivere è un surrogato. La Musa piange.
La Cultura potrebbe salvarci. Trent’anni di Restaurazione mondiale hanno spianato ogni etica culturale, ogni sogno di alterità, ogni progetto di mondo umano e umanistico. La tecnica è stata il braccio armato per la vittoria, senza cannoni, senza lager, solo stupidità indotta, imposta, accettata. Solo vuoto. Nella misera Italia poi, vent’anni di Berlusconi e quattro del clone Renzi hanno ulteriormente imbarbarito, incattivito, impoverito, distrutto. Solo la cultura è l’antidoto ormai terminale, la resistenza forse tardiva, l’unica risposta possibile. I teatri liberi e gratuiti come nell’Atene periclea, la poesia letta nelle piazze, la filosofia insegnata nelle strade, la musica suonata dappertutto, la scienza divulgata fuori dai laboratori, scuole belle, aule dipinte, aule giardino, aule poco affollate, la conoscenza che non riduce ad impiegati asfittici, che non sfianca, che non sfibra docenti e discenti. Che illumina, riaccende desideri, traccia sentieri che non c’erano, conduce da un’altra parte. Fuori dall’apatia. Oltre l’apocalisse. Lontano da qui.

Questo scritto è stato pubblicato per la prima volta su Kairos 1 | 2018.