La fisarmonica del tempo

“Proust, la cui opera piena di magia è dedicata al mistero della memoria,
ha ragione quando dice che i luoghi esistono solo nel tempo, mai nella realtà,
che si trasformano continuamente e si dissolvono,
scivolano via e restano solo nella memoria ciò che un tempo furono realtà”.

Da poco, perché da poco è stato tradotto in italiano questo suo libro, mi sono imbattuto in questa frase di Klaus Mann da Figlio di questo tempo del 1932. L’ho postata su Facebook, com’è uso nei nostri tempi digitalizzati. L’amico Gennaro Oliviero, da grande conoscitore dello scrittore francese, ha lasciato un commento in cui riporta il passo di Proust che Klaus doveva avere in mente:

“I luoghi che abbiamo conosciuto non appartengono solo al mondo dello spazio dove per semplicità li collochiamo. Essi non erano che una parte esigua del complesso di sensazioni confinanti che formavano la nostra vita di allora; il ricordo di una certa immagine non è che il rimpianto d’un certo istante; e le case, le strade, i viali sono, ahimè, fugaci come gli anni”.

Ed è, questo passaggio, in Dalla parte di Swann (Nomi di paesi: il paese), precisa lo stesso Gennaro. Klaus era ancora giovane nel 1932, aveva ventiquattro anni quando, ripiegato sul suo ancora breve passato, lottava per recuperarne la memoria. Negli anni del liceo io ripensavo con nostalgia inconsolabile agli anni dell’infanzia che apparivano già lontani, eppure erano ancora così vicini. Ora, non più giovane, la vita, bergsonianamente ripercorsa tra l’archivio della memoria e il ripescaggio nell’attualizzante ricordo, appare come una sorta di fisarmonica: il tempo si restringe e si allarga; gli stessi eventi ora si presentificano come accaduti ieri, ora vengono risucchiati in un gorgo che li trascina via lontano da ciò che siamo adesso, pur fatti di quella carne. Ero una volta quel bambino di tre anni che a Genova sul terrazzo di via Giovanni Casaccia, o Sinibaldo Scorza?, gettava a mo’ di esperimento i ciucciotti nella piccola grata rotonda del deflusso dell’acqua piovana, e il fatto sembra recentissimo e con le immagini in movimento sinesteticamente riemergono quasi il tatto e gli odori del momento: gli odori forse no, ma pare di sentire ancora l’anello del ciuccio infilato negli interstizi di ferro della grata. Quella terrazza, quel luogo, sono dunque memoria. Ma la memoria è un luogo scivoloso. Se solo alcuni anni fa avrei detto che quella terrazza era con sicurezza in una delle due strade che ho nominato, il ricordo di oggi – che non è già più quello di ieri – non sa più con certezza qual è l’indirizzo dell’immagine recuperata dai cassetti della memoria. Una volta, grazie alle risorse della rete, ero pure volato con Google Maps sui tetti di quelle strade e avevo rivisto e riconosciuto dall’alto quel terrazzo. Ma le strade, scriveva Proust, sono fugaci come gli anni. Eppure, l’ho detto, ricordo con assoluta precisione le sensazioni del momento. Con un brivido compivo un gesto che sapevo illecito, buttare via degli oggetti. E so che tra i ciucciotti azzurri – i miei – ce n’era anche uno rosa, di mia sorella. Non volevo far seguire anche a quello la sorte degli altri, non era il mio. Ma ecco, con un senso di azzardo, lo faccio volare giù. È qui, nel mio petto, ancora, quel brivido tra indecisione e compimento dell’atto. Come in un montaggio fotografico, compare subito dopo un’altra sequenza, sullo stesso terrazzo: sempre Esterno Giorno. È venuto un idraulico per una riparazione, e io ho paura che sia per colpa mia, che gli oggetti buttati in quel canaletto di scolo lo abbiano intasato, ma vengo rassicurato. E allora il bambino di tre anni, ormai pentito per l’insano gesto, chiede se è possibile recuperare i ciucciotti dei quali si è incautamente disfatto, e ovviamente non è possibile. Il rammarico fa tutt’uno con il senso di colpa, al cospetto del padre, presente con l’idraulico su quel terrazzo. Mia madre mi raccontava che dalla ringhiera del terrazzo io gettavo in strada giocattoli che i vicini raccoglievano e riportavano a destinazione. Ma di questo non c’è più traccia nella mia mente, forse solo in un angolo della memoria dal quale non si riescono a trarre fuori altri fatti di quel tempo (qualche altro avvenimento su quella terrazza in realtà è ancora presente dietro gli occhi che l’hanno visto accadere). Così come non ricordo nulla dei momenti precedenti e successivi all’operazione ciucciotti. È come se dal film della vita fossero stati tagliati e conservati solo alcuni frammenti della pellicola che non è più possibile ricomporre nel suo scorrere. Ma il suo fiume carsico è dentro di noi, e magari riemerge in qualche sogno. Un tempo sognavo di essere in un angolo di una delle case dell’infanzia e provare ciò che provavo allora e pensare ciò che pensavo allora: ero il bambino di allora e l’adulto di adesso. Ovviamente il luogo non era quello, il luogo era il ricordo d’una sensazione, vera o solo reinventata nel suono della fisarmonica che s’apre e chiude. Anche le case infatti sono fugaci come gli anni.
A volte, però, anche per gli squarci che sembrano apparire con chiarezza, viene il dubbio che si tratti solo del ricordo di un ricordo. Solo una traccia di secondo grado