La Napoli di Joseph Conrad
Nei preziosi volumetti della collana accapo, le edizioni della Libreria Dante & Descartes di Napoli, è stato proposto nel 2019 un racconto di Joseph Conrad, Il Conde, ambientato nella città partenopea. Dopo aver girato mezzo mondo, e aver descritto città a ogni latitudine, Conrad approda a quella che a noi sembra location domestica, ma che esotica doveva apparire a uno scrittore polacco di lingua inglese, nato per giunta in Ucraina. Ecco quindi lo scrittore alle prese con Napoli. Gustaw Herling, il connazionale polacco che ha legato indissolubilmente il suo nome a Napoli, nella sua Nota introduttiva ci informa che la storia raccontata dallo scrittore anglo-polacco è vera, tranne qualche reticenza o piccola variante: più che per problemi di salute, il protagonista soggiornava a Napoli in quanto nota capitale dell’omosessualità (e in realtà a una certa particolarità dei costumi napoletani si fa riferimento nel racconto).
Il narratore, in questa novella pubblicata nel 1908, incontra in un albergo di Napoli un aristocratico cittadino dell’Impero austroungarico, la cui più precisa nazionalità e il nome non vengono rivelati. Il conte, sofferente di affezioni reumatiche, ha fatto dell’Italia meridionale, e in particolare del golfo di Napoli (“questo caratteristico luogo dell’Europa meridionale”), del cui clima beneficia, la sua patria d’elezione: vive tra Sorrento, Capri e Napoli. E dunque: “Uno se lo immagina andare a passeggio per le strade e i vicoli, ormai noto agli accattoni, ai negozianti, ai bambini, alla gente di campagna; parlare amabilmente con i contadini da sopra i muri – e tornare in albergo o in villa per sedersi al pianoforte, i capelli bianchi ravviati all’indietro, i baffi folti ben curati, ‘a fare un po’ di musica per me stesso’. E, naturalmente, come diversivo, c’era Napoli vicina: la vita, il movimento, l’animazione, l’opera”. Perché anche lo svago è indispensabile alla salute. E il paragone è con le residenze campane degli antichi romani, dei quali il conte doveva giusto sapere due cose (il racconto parte dal Museo Nazionale: è lì che s’incontrano i due uomini).
Assentatosi per qualche giorno, il narratore ritrova il conte nello stesso albergo napoletano in un profondo stato di prostrazione a causa di una “abominevole avventura”. Già i termini adoperati da questo personaggio, così misurato anche nel parlare, fanno capire quanto dovesse essere sconvolto. Cosa è successo? Durante uno spettacolo musicale alla Villa Nazionale (oggi Villa Comunale) il conte viene rapinato. Elena Croce (ce ne informa Herling) ebbe a dire che si tratta del primo scippo napoletano riportato nella letteratura da uno scrittore non italiano. Più propriamente, è una rapina a mano armata, l’arma è un coltello. Ma più che per il danno economico, risibile anche perché per precauzione il conte aveva tolto i soldi dal portafoglio, a bruciare è l’umiliazione; egli viene insultato per avere così poco con sé. Come si saprà dopo, il giovane che compie il furto, un vero “tipo” napoletano del tempo, appartiene alla camorra.
Il furto è magistralmente contrappuntato dalle note dell’orchestra che si esibisce tra una moltitudine di persone, con altre che vanno avanti e indietro nei tram illuminati e affollati. Una metropoli nei cui angoli bui, come il vialetto nel quale si era ritirato il visitatore straniero, può però compiersi ogni tipo di misfatto; la metropoli è il luogo dei grandi assembramenti di persone, ma anche occasione di solitudine tra la folla, come insegna la sociologia urbana che nasce proprio negli stessi anni: Le metropoli e la vita dello spirito di Georg Simmel è di qualche anno prima, del 1903. E nel contrasto qui delineato da Conrad possiamo anche individuare quella tipica porosità napoletana, come unità di opposti, di cui parlarono Walter Benjamin e Asja Lacis.
Se c’è la camorra, e c’è il furto, Conrad ci lascia però anche pagine nelle quali decanta la città (pp. 30-31):
“La Villa Nazionale è un giardino pubblico che si stende con prati, cespugli e aiuole fiorite fra le case della Riviera di Chiaia e le acque della rada. Dei viali alberati, più o meno paralleli, l’attraversano in tutta la sua lunghezza, che è considerevole. Dalla parte della Riviera di Chiaia i tram elettrici corrono vicinissimi alla cancellata. Fra il giardino e il mare c’è la passeggiata elegante, un’ampia strada delimitata da un muretto.
Siccome a Napoli la vita si protrae fino a tardi nella notte, l’ampia passeggiata brulicava di un lucente sciame di lanterne di carrozze che avanzavano a due a due, alcune muovendosi lentamente, altre correndo rapide sotto la fila sottile dei lampioni elettrici che delineano la spiaggia. E un lucente sciame di stelle era sospeso sopra la terra ronzante di voci, stipata di case, scintillante di luci, e sulle ombre distese e silenziose del mare”.
Qui dunque dalla descrizione del luogo, l’attuale Villa Comunale, si passa al ritratto antropologico della città, alla sua vivace vita sociale in relazione ai ceti sociali medio-alti. In questo passo, Conrad continua a descrivere la serata domenicale partenopea, e paesaggio naturale, urbano, umano e sonoro fanno un impasto che ci restituisce Napoli nel suo insieme composito (pp. 31-32):
“Da quel luogo magico [i giardini poco illuminati], dietro i tronchi neri degli alberi e l’ammasso del fogliame colore dell’inchiostro, arrivavano suoni soavi mescolati a fragorosi ruggiti di ottoni sfrontati, fracassi metallici improvvisi e vibrazioni sorde e profonde.
Man mano che si avvicinava, tutti quei rumori si combinavano in un elaborato brano musicale le cui frasi armoniose arrivavano persuasive attraverso il brusìo confuso delle voci e lo scalpiccio dei passi sulla ghiaia di quello spazio aperto. Una folla enorme, immersa nella luce elettrica come in un bagno di qualche fluido tenue e radioso rovesciato sulle loro teste dai globi luminosi, si assiepava a centinaia intorno alla banda. Altre centinaia, sedute su delle seggiole disposte in cerchi più o meno concentrici, ricevevano senza battere ciglio le grandi onde sonore che fluivano nell’oscurità. Il conte penetrò nella calca, se ne lasciò trascinare provando un piacere tranquillo ad ascoltare e a guardare i visi intorno a lui. Tutta gente della buona società: madri con le loro figlie, genitori e bambini, giovanotti e signorine, tutti che chiacchieravano, sorridevano, si scambiavano cenni. Molti visi graziosi e molte belle toilettes. C’era, naturalmente, una grande diversità di tipi umani: vecchi azzimati con i baffi bianchi, uomini grassi, uomini magri, ufficiali in divisa; ma il tipo che predominava, mi disse, era quello del giovane italiano del sud, carnagione chiara, diafana, labbra rosse, baffetti nero giaietto e occhi neri liquidi, così meravigliosamente efficaci nella loro espressione torva o maliziosa”.
A questo tipo appartiene anche il ladro che subito dopo entra in scena.
Un racconto pur così breve ha dato luogo a varie interpretazioni, dall’accostamento a Morte a Venezia di Thomas Mann alle letture in chiave sociopolitica sulla fine dell’aristocrazia e l’ascesa della criminalità in un mondo che sta cambiando. Conrad – nota la curatrice Luisa Saraval nella postfazione – lascia la propria impronta nella tecnica narrativa (la voce narrante che informa e commenta), la caratterizzazione delle tre età dell’uomo: il vecchio protagonista ancora idealista; il giovane che ha imparato a stare al mondo in modo diverso; l’autore il cui sguardo si muove tra ironia e compassione. Conradiani sono i personaggi secondari, con camerieri zelanti o pigri, e i luoghi: realistici, ma anche simbolici. Comunque, scrive Saraval: “Qui è Napoli e, anche se è il 1908, la città che viene descritta è tuttora riconoscibile. E non solo per i luoghi citati (la Napoli borbonica e umbertina, la Napoli dei musei, la Napoli popolare e folcloristica), ma perché la realtà di Napoli è ancora così composita e sfaccettata, piena di luci e ombre, proprio come l’ha raccontata Conrad”.
Joseph Conrad, Il Conde. Un racconto patetico. Vedi Napoli e poi muori, con una nota di Gustaw Herling, illustrazioni di Rosario Morra, a cura di Luisa Saraval, Edizioni Libreria Dante & Descartes, Napoli 2019, pp. 72, € 7,00